22. März 2017 · Kommentare deaktiviert für Libia, il comandante di Sophia «Abbiamo salvato 34 mila migranti» · Kategorien: Italien, Libyen, Mittelmeer · Tags: ,

Corriere della Sera | 21.03.2017

L’ammiraglio Enrico Credendino a capo della missione Ue che blocca i barconi dal Nord Africa. «Alcune ong lavorano al limite delle acque libiche»

di Francesco Battistini

Ammiraglio Credendino, i migranti dalla Libia sono aumentati del 36 per cento nei primi due mesi e mezzo del 2017. Ma non dovevate fermarli tutti con l’Operazione Sophia?

«Gli scafisti stanno spingendo al massimo. Finché possono. Certo, l’incremento degli sbarchi è dovuto al fatto che molti erano pronti da un pezzo a partire. Ma il punto è che gli scafisti s’aspettano tempi duri: sanno che stiamo addestrando la Guardia costiera libica. E che a breve il governo di Tripoli avrà dieci motovedette, con le quali sarà in grado di contrastare in modo molto più efficace all’interno delle acque libiche. Per questo, stanno cercando di mandare in Italia il maggior numero possibile di migranti: quando cominceranno i controlli dei libici, sarà probabilmente più complicato».

Lunedì, a Roma, s’è parlato tanto di lui: l’ammiraglio Enrico Credendino, 54 anni, torinese, al comando della Grande Armada che l’Europa ha messo in mare quasi due anni fa per fermare i mercanti d’esseri umani. La lotta ai trafficanti è la priorità – hanno detto Gentiloni, il premier libico Serraj e i ministri dei Paesi rivieraschi, riuniti per il primo gruppo di contatto sul Mediterraneo centrale – e questa lotta è affidata a Credendino. Le cifre dell’Operazione Sophia dicono: venticinque Paesi, 1.545 militari, cinque navi,sei elicotteri a disposizione. E 104 scafisti arrestati, 407 imbarcazioni bloccate, più di 34mila salvati in mare. «Questi due anni sono stati una grande fatica – spiega l’ammiraglio -. Però i risultati, se volete, ci sono. Sophia non è stata un’operazione in cui si diceva: fai questo e conseguirai quest’obbiettivo. E’ solo il secondo punto di un’agenda Ue che ne comprende altri nove: uno dei pochi pienamente attuati. Fra quelle 407 imbarcazioni neutralizzate, per dire, la maggior parte erano barconi che portavano 500 migranti alla volta. Fermarli è stato fondamentale, s’è rallentato il flusso: molti scafisti ora non riescono più a uscire dalle acque libiche e perdono i barconi, la logistica, tutto. Se poi gli sbarchi tornano ad aumentare, dipende dal fatto che le cause dei Paesi d’origine – uno di quei punti in agenda – non sono ancora state annullate».

Vuol dire che adesso cominciano a temervi?

«Sanno che noi siamo lì e che loro non possono uscire. Se escono, li fermiamo. Non quelli che si uniscono ai migranti e vengono in Italia: io dico quelli di livello superiore, che vogliono riprendersi la barca o gestire al meglio possibile il traffico».

Il ministro Minniti ha annunciato che per metà maggio daremo alla Libia dieci motovedette e cominceremo a far funzionare la Guardia costiera libica …

«L’abbiamo addestrata noi a bordo della San Giorgio: 93 libici, ufficiali e sottufficiali. E ci sono tre equipaggi, 39 uomini, che dovrebbero arrivare a Napoli e completare in un mese l’addestramento pratico a bordo delle motovedette, per imparare a usarle. S’addestreranno altri 255 militari libici a Taranto e alla Maddalena, per otto settimane, sino a fine luglio. Lo stesso farà la Spagna. Ecco perché gli scafisti hanno fretta e stanno approfittando di questo periodo in cui non siamo ancora pronti».

Il governo libico di Serraj batte cassa. Bastano gli 800 milioni promessi?

«Il fenomeno si risolverà soltanto quando la Libia sarà stabile. Il primo passo è dare alla Guardia costiera i mezzi per contrastare il crimine nelle acque libiche. Noi staremo fuori, nelle acque internazionali, loro staranno dentro: questo lavoro insieme avrà sicuramente un impatto».

Ma questi guardacoste libici sono all’altezza del compito?

«In Libia manca tutto. Le strutture di difesa marittime, le navi, i radar, le centrali di coordinamento… Entro il 2018 dobbiamo renderli operativi. Hanno alcuni gommoni con cui fanno il possibile: nel 2015 han soccorso 800 persone, nel 2016 fra le 14 e le 16 mila. Sulla San Giorgio sono cresciuti molto. Il capo della guardia costiera militare libica mi ha detto: prima non sapevamo come fare il nostro mestiere, adesso lo sappiamo».

Chi ha pagato?

«Ci sono stati i fondi dei Paesi Ue. 25 su 27, perché la Danimarca non partecipa, l’Irlanda ha detto no e la Croazia entrerà a breve. L’addestramento è costato sui 500mila euro. Però va considerato che l’Italia ha messo in mare una nave anfibia per 14 settimane e ha coperto una grande quota».

Chi ci garantisce che tutti questi mezzi, tutto questo addestramento non saranno usati per altri scopi? Molti guardacoste sono collusi con gli scafisti, altri sono minacciati se non collaborano…

«L’unica garanzia è investire su Serraj e sul fatto che riesca a istituire un governo funzionante. Però la Guardia costiera militare è piuttosto neutrale, il capo è sempre quello da vent’anni: ha visto passare Gheddafi, i governi intermedi, adesso Serraj…».

Ma oltre che con Serraj, un accordo col generale Haftar non vi renderebbe il lavoro più facile?

«I migranti partono dalla Tripolitania. Dalla Cirenaica, dove comanda Haftar, oggi non ce ne sono e un accordo, sotto il profilo operativo, non servirebbe molto. Però è chiaro che l’ideale sarebbe avere un sistema di difesa libico unificato».

Che cosa risponde a chi accusa i vostri interventi d’incentivare le migrazioni? Dicono che gli scafisti vi vedono in mare e praticamente vi consegnano “la merce”…

«Rispondo che Sophia non è un incentivo. Nonostante abbiamo salvato 34mila persone, praticamente una piccola città, abbiamo fatto solo l’11,8% del totale dei soccorsi. Quindi non siamo noi il pull factor, il fattore d’attrazione. Ci sono altre organizzazioni che incentivano molto di più».

Per esempio?

«Per esempio, il direttore di Frontex ha parlato di alcune ong che lavorano nell’area. C’è anche un’investigazione aperta dalla Procura di Catania. Nel secondo semestre 2016, queste ong hanno fatto quasi il 40 % dei soccorsi. Il resto lo fanno le navi mercantili. Col mio 11,8%, non sono certo io un incentivo ai migranti».

A proposito di ong: c’è una polemica sui troppi salvataggi che fanno a poche miglia dalla costa libica. E sulle loro navi che sembrano taxi, fanno ore di mare pur di scaricare i migranti in Italia…

«Le ong lavorano molto spesso al limite delle acque territoriali libiche. La sera hanno questi grossi proiettori con cui sono visibili: gli scafisti li vedono, sanno dove sono e mandano il gommone verso questi proiettori. C’è un’inchiesta in corso. Ma noi lavoriamo in maniera indipendente da loro».

Le ong entrano nelle acque libiche, voi non potete: è giocando su questo limite che qualcuno ne approfitta?

«Per soccorrere, chiunque può entrare nelle acque territoriali. Anche noi. La salvaguardia della vita in mare è prioritaria ed è sempre il più vicino a intervenire, se c’è un’emergenza. Poi è vero che nel nostro mandato, noi, non abbiamo il soccorso: le nostre navi servono a combattere gli scafisti nelle acque internazionali. Le ong invece sono le più vicine e se c’è da fare un intervento vicino alla costa, è vero, loro lo fanno spesso».

Per essere ancora più chiari: soccorrere i migranti in mare, è diventato un business? Le navi di certe ong costano anche 10mila euro al giorno…

«Certo, stare in nave 24 ore è costoso: la barca da pagare, il gasolio… Alcune di queste navi sono molto avanzate, hanno anche piccoli droni. Sono investimenti molto importanti. Però noi cerchiamo di lavorare e di sentirci con tutti. All’ultimo forum a Napoli, come accadrà a Roma il prossimo giugno, ho ascoltato anche il rappresentante di Sea Watch che ci ha molto criticato…».

A quelli di Sea Watch, i guardacoste libici hanno curiosamente sequestrato un gommone che sostenevano avesse troppo sconfinato nelle loro acque…

«Un episodio sporadico. Noi in realtà sappiamo chi è intervenuto: ci sono milizie che usano uniformi della Guardia costiera libica, per prendersi le barche. E’ difficile, soprattutto di notte, capire di chi stiamo parlando».

Lei ha combattuto i pirati somali. E’ una criminalità diversa?

«La pirateria è un crimine internazionalmente riconosciuto e quindi può essere combattuto in modo molto più efficace rispetto al traffico di persone. C’è l’esigenza di cambiare la qualificazione del mercato di uomini: farlo diventare un crimine contro l’umanità. Questo consentirebbe di perseguire anche in Spagna o in Inghilterra uno scafista che opera in Italia. E’ un’idea che stiamo portando avanti».

E chi dice che siete chiamati ad alzare muri in mare, a non farvi troppe domande sui migranti che poi vengono rispediti in Libia?

«In mare non si erigono muri. Questa è proprio una sciocchezza. Il mare unisce, non divide. L’anno scorso ci sono stati 4.500 morti perché i libici non sanno intervenire, ora stiamo insegnando a farlo. Non è un risultato, questo? Quando il gommone si capovolge, se non c’è una motovedetta, quella è gente che non sa nuotare e affoga in 10 minuti. Una volta che i libici li recuperano, certo, poi sappiamo bene in che razza di posti li portano. Ma è sempre meglio mandarli nei campi in Libia, piuttosto che farli annegare».

E’ sempre convinto che i terroristi non arrivino sui barconi?

«Che vengano direttamente i terroristi, è possibile ma improbabile: la rotta è molto pericolosa, più facile prendere un aereo. Casomai, succede che il migrante sia fidelizzato nei centri di raccolta o nelle carceri».

Tempo fa, lei ci confidò che i russi facevano pressioni sulla vostra operazione. Ora che Putin è comparso in Libia, si capisce il perché…

«I russi, io li vedo solo passare nelle acque internazionali, per andare in Siria e tornare. Hanno tutto l’interesse ad aprire nella parte Est della Libia, avere una seconda base nel Mediterraneo dopo la Siria. Stare a Bengasi per loro sarebbe importante e questa intenzione ce l’hanno, è chiaro. Ci sono segnali e sensazioni».

Com’è stato gestire due anni di quest’operazione?

«Complicato, ma interessante. Ventotto Paesi, ognuno con una sua posizione: bisogna mettere insieme quelli del Nord Est con quelli del Sud, chi è colpito dal fenomeno migratorio e chi lo capisce meno, gli inglesi che nonostante la Brexit continuano a supportarci e hanno perfino aumentato il loro sforzo… Le faccio un esempio: a luglio, quando ho presentato un documento, ho ricevuto 255 commenti diversi. Da leggere e da trattare in un weekend: quali respingere, quali accettare? Un lavoro nuovo, per un militare. Ma bello».

Il 27 luglio, la confermeranno?

«Penso ci siano possibilità. Però spetta a Bruxelles decidere se estendere il mandato. La migrazione non è certo finita. E per combatterla non basteranno mesi: ci vorranno ancora anni».

Kommentare geschlossen.