20. März 2017 · Kommentare deaktiviert für In fuga dal Senegal sognando l’Europa: “Meglio morire in viaggio che di fame” · Kategorien: Afrika · Tags: ,

La Stampa | 19.03.2017

In autobus assieme ai migranti che percorrono la rotta africana: «Fermarci è inutile. Da voi c’è la crisi? Non può essere peggio di qui»

LORENZO SIMONCELLI

«Prossime fermate Goudiry (Senegal), Bamako (Mali), Ouagadougou (Burkina Faso), Niamey e Agadez (Niger)». Il 26enne Mourjam grida a squarciagola alla stazione degli autobus di Tambacounda, città del Senegal a 180 chilometri dal confine con il Mali, per cercare di vendere gli ultimi posti rimasti vuoti a bordo dell’autobus Gran Turismo della Diallo Transport, partito la notte prima dalla Gare routière di Dakar. Due giorni e mezzo di viaggio fino ad Agadez, 3.720 chilometri attraversando il Sahel, una strada cosparsa di buche, terra rossa e immensi baobab a bordo pista. Un percorso fino a 20 anni fa reso celebre dai centauri della Parigi-Dakar che lo attraversavano; oggi, invece, trasformatosi nell’inizio della Western Route, come i migranti in viaggio verso l’Europa l’hanno ribattezzata.

Mourjam è riuscito a riempire l’autobus. L’autista, con il portellone ancora aperto, riprende il suo cammino. A bordo 54 persone, almeno il doppio i bagagli. Scattando una fotografia immaginaria verrebbe fuori l’istantanea d’Africa: giovani senegalesi con indosso il Boubou, tradizionale abito lungo con trame sgargianti, tuareg maliani avvolti nel tagelmust, la fascia di cotone che copre il capo e lascia trasparire solo la fessura degli occhi. C’è poca voglia di parlare. Alcuni tornano a casa, altri sono commercianti transfrontalieri, molti stanno iniziando il loro viaggio verso l’Europa (nel 2016 lo hanno fatto in 10.327 secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni).

Tra questi Mohammed e Omar, 24 e 26 anni, entrambi senegalesi e un unico sogno: la Francia. «Lavoravo come assistente del capo villaggio, ma guadagnavo troppo poco, ho iniziato a contrarre debiti per sopravvivere, finché mi hanno denunciato ed ero ricercato dalla polizia. Così ho deciso che la mia unica salvezza era provare la traversata del Mediterraneo e sono partito – racconta Mohammed a bordo dell’autobus con cui ha iniziato il suo viaggio verso l’Europa -. In Africa non abbiamo niente, lo Stato non aiuta i giovani e non mantiene le promesse. Ho parenti e amici che sono già in Francia e loro stanno bene, sono sicuro che anch’io ce la farò. So che il viaggio è pericoloso, ma sono pronto a rischiare e a morire. Se andrà male almeno non sentirò più i crampi della fame».

Omar, seduto accanto al finestrino, si lascia dietro di sé con lo sguardo villaggi aridi e semi disabitati, anche il suo. Non sa se un giorno ritornerà. «L’Europa crede di fermarci facendo accordi con i singoli Paesi africani, ma non ci fermeremo, anche se da voi c’è la crisi e i giovani non hanno lavoro. So che i miei fratelli ce l’hanno fatta e poi è impossibile che sia peggio di stare qui», dice Omar. Mourjam ogni settimana fa la stessa tratta e svela che tra i passeggeri c’è sempre qualcuno che va fino ad Agadez per poi proseguire il percorso verso la Libia. Dopo tre ore di viaggio si arriva a Goudiry, circa 60 chilometri dal confine con il Mali, alla fermata degli autobus ci sono molti giovani che vogliono salire, ma non c’è più posto, devono aspettare il prossimo autobus.

È arrivato il momento di scendere e salutare Mohammed e Omar. Le strade di Goudiry sono quasi deserte, è una delle località più colpite dalla migrazione giovanile verso l’Europa, chi è rimasto fa parte di quelle decine di persone rimpatriate dalla Libia e dalla Tunisia dopo che non sono riuscite a imbarcarsi. Moussa è uno di loro, nel 2014 ha venduto tutto quello che aveva: 6 vacche per 1,5 milioni di franchi senegalesi (circa 2.500 euro), ed è partito. «Stavamo nel mezzo del Mediterraneo con una barca in legno. All’improvviso si è spezzata in due, i miei amici erano a prua, il posto riservato a chi paga di meno, non sapevano nuotare e sono annegati. Io invece ero a poppa e mi sono salvato – racconta Moussa -. Prima di essere rimpatriato in Senegal, sono rimasto in carcere in Libia per 3 mesi, quando sono arrivato a Goudiry ho cercato mia madre, ma non c’era più: mi hanno detto che quando ha saputo del naufragio è morta d’infarto». Da allora Moussa, insieme ad altri ragazzi rimpatriati, ha fondato un’associazione che cerca di scoraggiare i giovani di Goudiry al viaggio verso l’Europa. «Non è facile convincerli, ma se non ci fossimo noi quelli che vogliono partire sarebbero ancora di più. Per essere credibili però servono fondi, dobbiamo offrire alternative concrete come allevamento e agricoltura», spiega Moussa.

Accanto alla sua casa decadente, trasformata nella sede dell’associazione, vive Alassane Diallo, sindaco della città e anche lui con una tragica storia di migrazione alle spalle. «Mio figlio aveva 29 anni quando nel 2015 di nascosto ha lasciato Goudiry per andare in Europa. Da allora non ho più sue notizie, credo sia morto, ho cercato di fare di tutto per fermarlo, ma non ci sono riuscito e adesso devo vivere con questo rimorso. C’è bisogno di lavoro per i nostri giovani, è l’unico modo per fermare la migrazione».

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