01. März 2017 · Kommentare deaktiviert für Migranti, Moas: „Siamo noi a combattere gli scafisti“ · Kategorien: Italien, Libyen · Tags: ,

La Repubblica | 28.02.201

Regina Catrambone, fondatrice del Migrant Offshore Aid Station, rilancia la sua azione nel Mediterraneo. „Nuova missione di soccorso in aprile, l’unica strada sono i corridoi umanitari. Noi collaboriamo con le istituzioni, ma le risposte toccano a loro“

di ALESSANDRA ZINITI

ROMA – „La nostra nuova scommessa sono i corridoi umanitari. Stiamo lavoriamo insieme alla Comunità di Sant’Egidio per cominciare a prescrutinare delle persone, dall’altra parte del Canale di Sicilia, per aiutarle ad arrivare in Europa senza mettersi nelle mani dei trafficanti. I corridoi umanitari sono l’unica strada per non far perdere le speranze a queste persone che muoiono in mare o subiscono violenze di ogni genere nei centri di detenzione in Libia. Noi speriamo che tanti come noi siano disposti a metterci la faccia e i capitali ma anche il cuore e il coraggio, due parole che oggi sono troppo spesso dimenticate“.

In un momento in cui le forti critiche di Frontex e le indagini conoscitive aperte dalla magistratura italiana accendono i riflettori sull’operato di alcune organizzazioni umanitarie che operano nel soccorso in mare ai migranti, Regina Catrambone cofondatrice insieme al marito Christopher e direttrice del Moas, rilancia l’azione della sua Ong che si prepara alla nuova missione di soccorso che partirà in aprile.

Signora Catrambone, come risponde alle critiche di Frontex e all’iniziativa della magistratura?

„A Frontex chiedo dov’erano nel 2014 quando noi, primi fra tutti, siamo scesi in campo a fianco dell’operazione Mare nostrum per salvare vite umane. Io e mio marito siamo stati i primi a decidere di aiutare l’Italia che era sola di fronte a questa grande emergenza e lo abbiamo fatto semplicemente come cittadini che credono nella missione umanitaria. Non metto in discussione le indagini della magistratura, anzi siamo felici che ci siano perché noi rispettiamo le regole e ci mettiamo il cuore e la faccia e in tre anni abbiamo salvato oltre 33mila persone“.

L’ipotesi che la magistratura intende accertare è se ci sia qualcuna delle navi private in campo che non agisca secondo le regole finendo con il fare il gioco dei trafficanti di uomini e utilizzando finanziamenti di dubbia provenienza. I vostri da dove arrivano?

„I nostri bilanci sono tutti certificati e sono pubblicati sul sito del Moas. Noi siamo delle persone con una vita agiata che, come si fa in tutto il mondo, hanno deciso di mettere le loro possibilità a servizio della filantropia. Siamo stati i primi ad ospitare giornalisti a bordo perché tutto quello che facciamo sia documentato e trasparente. Per il resto utilizziamo fondi che arrivano da donazioni private che prima erano più consistenti e che ora si sono frastagliate con il nascere di altre organizzazioni umanitarie. Ora è possibile donare anche il 5×1000 alla nostra associazione“.

Rimanete sempre in acque internazionali, vi muovete solo su indicazione della sala operativa delle Capitanerie di porto o vi spingete fin sotto le coste libiche?

„Noi rispettiamo le regole. A bordo abbiamo equipaggi perfettamente formati in tema di ricerca e soccorso in mare e, solo in ausilio, personale volontario. Non siamo noi a decidere chi e dove salvare. Navighiamo sempre in acque internazionali, certo se la guardia costiera ci dice via radio o via email di spingerci più avanti lo facciamo. Se i droni a bordo delle nostre navi vedono un’imbarcazione che ha bisogno di soccorso, non è detto che ci andiamo noi. Ripeto, cosi lavoriamo noi, non so cosa fanno gli altri“.

Andiamo incontro a una nuova stagione di sbarchi. Come pensate di affrontarla?

„Innanzitutto con umanità. Il nostro messaggio è questo. Bisogna lavorare in questo modo, capire le necessità delle persone. Anche il migrante economico che è in prigione in Libia deve essere tutelato. Come si può rimanere indifferenti? Il nostro compito è quello di cooperare con le istituzioni ma è a loro che tocca trovare delle risposte non alle organizzazioni umanitarie“.

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