10. Mai 2016 · Kommentare deaktiviert für Lebanon: Boats are starting directly from the refugee camps nearby the sea shore · Kategorien: Italien, Libanon

Quelle: Occhi della guerra

Ecco le spiagge da dove salpano i migranti

Il campo profughi palestinese di Jal al Bahr si affaccia direttamente sul mare. Una lunga trafila di baracche semi distrutte con i tetti bucati o direttamente scoperchiati si allunga sul lungomare sabbioso. Dalle case escono dei bambini e corrono verso l’acqua. Per farlo, però, devono scavalcare interminabili cumuli di detriti che occupano tutta la spiaggia. Arrivati a riva mettono i piedi nell’acqua, ma non si tuffano. “Il mare porta malattie” mi dice uno di loro. A fianco delle baracche, su entrambi i lati, scorrono due rigagnoli che sfociano in mare. Sono gli scoli delle fognature di tutta la città.

Siamo a Tiro, quarta città libanese per numero di abitanti. Vicina al con fine con Israele, si affaccia sul Mediterraneo ed è ricca di monumenti e rovine romane. A pochi metri dalle quali sono sorti 11 campi profughi che ospitano decine di migliaia di palestinesi, figli o nipoti degli esuli fuggiti dalla Palestina nel 1948. Di questi campi solo in tre usufruiscono degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, gli altri sono lasciati completamente al proprio destino: niente elettricità o acqua corrente, nessuna scuola né ospedale, nessun lavoro.

Di cosa vivono dunque i loro abitanti? “Peschiamo” spiega Nabil, 54 anni e capo di Jal al Bahr, che è uno di quelli lasciato senza aiuti. “Ormai dal mare tiriamo però su quasi solo rifiuti. Per questo abbiamo iniziato a cacciare”. Lungo la spiaggia cammina un gruppo di 5 ragazzi appena maggiorenni. Ognuno di loro impugna un lungo fucile da caccia e indossa una cintura da cui pendono proiettili e le carcasse di gabbiani e piccioni che hanno da poco colpito. La battuta di caccia è appena finita ed ora tornano a fare la sicurezza nel campo. E quando qualcuno di esterno a loro non gradito si avvicina troppo alle baracche loro sparano qualche colpo. Di avvertimento.

Di uomini adulti non se ne vedono quasi. Che fine hanno fatto? “Sono partiti tutti verso l’Europa. Hanno preso una barca e sono salpati proprio da questa spiaggia verso el coste italiane” continua Nabil. “Così hanno fatto anche i miei figli: approdati in Sicilia, hanno detto alle autorità di essere siriani e hanno proseguito verso la Germania, dove oggi vivono.

Sono dunque queste alcune delle spiagge dalle quali salpano i migranti per raggiungere clandestinamente le nostre coste. Chi parte da qua non ha documenti da presentare – i palestinesi del Libano sono apolidi – e per questo si finge della nazionalità al momento più conveniente. Secondo Nabil sono migliaia i propri compatrioti che negli ultimi mesi hanno preso il largo da qui. Non tutti son o arrivati a destinazione, alcuni si sono dispersi in mare.

Con quali istituzioni locali potrebbe dialogare il governo italiano per tentare di fermare o gestire questo fenomeno? È difficile dirlo, perché nei campi profughi palestinesi del Libano non regna un’unica autorità. Fino a qualche anno fa il monopolio della forza era detenuto da al Fatah, movimento laico e socialista. Negli ultimi tempi, però, i suoi consensi sono diminuiti a favore di Hamas e di altri movimenti radicali islamisti. Gli scontri tra le diverse fazioni sono all’ordine del giorno e il dialogo con l’una potrebbe compromettere gravemente quello con le altre. Lo Stato del Libano, da parte sua, non si occupa dei palestinesi e non vuole o può porsi come interlocutore a nome dei profughi. I Palestinesi sono degli ‘ospiti’ che vivono da 70 anni in centri di permanenza temporanea nell’attesa di un ritorno in Palestina. Che non è mai avvenuto.

Differentemente rispetto agli aliti campi a Jab al Bahr non si vedono simboli politici o partitici: niente manifesti, niente volti di Arafat a fissarti, nessuna bandiera né di Fatah né di Hamas. In questo campo sono presenti entrambe le fazioni e, per evitare conflitti o provocazioni reciproche, si è comunemente deciso di mettere al bando ogni tipo di simbologia. Un tentativo di mantenere una situazione di pace interna e di scongiurare scontri a fuoco, faide o esecuzioni sommarie. Nonostante l’apparente pace, però, le morti non si arrestano mai. Soprattutto tra i più piccoli. Negli ultimi 12 mesi sono ben 28 i bambini che sono morti per malnutrizione, intossicazione alimentari, intossicazioni varie e incidenti stradali. Da quando la spiaggia è ricoperta di rifiuti molti di loro si sono spostati a giocare sull’asfalto delle strade adiacenti. E diversi di loro sono finiti investiti.

Tra guerre intestine, malattie, fame, inquinamento, senso di abbandono e mancanza di una propria terra a molti palestinesi non resta scelta migliore che uscire di casa, prendere il largo, attraversare il Mediterraneo, raggiungere la Sicilia e fingersi siriani. Da Tiro la Palestina non lontana, ma nessun suo abitante potrà mai farvi ritorno. Finché la questione palestinese non sarà risolta i migranti continueranno a salpare. Verso l’Italia, che non è lontana.

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