03. Juli 2017 · Kommentare deaktiviert für „Le cose che l’Italia può fare invece di chiudere i porti“ · Kategorien: Europa, Italien

Internazionale | 03.07.2017

Il 2 luglio i ministri dell’interno di Italia, Germania e Francia si sono incontrati a Parigi insieme al commissario europeo Dimitri Avramopoulos per discutere delle nuove richieste italiane in materia d’immigrazione, che saranno presentate al vertice dei 27 ministri dell’interno dell’Unione europea a Tallin, in Estonia, il 6 e 7 luglio. Nel piano presentato, Roma ha chiesto agli altri paesi europei d’introdurre dei limiti per le organizzazioni non governative che soccorrono i migranti nel Mediterraneo centrale e più finanziamenti per affidare alla guardia costiera libica il pattugliamento delle coste del paese nordafricano da cui partono la maggior parte delle imbarcazioni di migranti dirette in Europa.

Chiudere i porti italiani non è mai stata una possibilità. Nell’ultima settimana il presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni e il ministro dell’interno Marco Minniti hanno chiesto ripetutamente ai partner europei di avere un ruolo più importante nella gestione del fenomeno migratorio. “Alcuni paesi devono smettere di girare la faccia dall’altra parte sull’immigrazione”, ha detto Gentiloni il 29 giugno a margine dell’incontro dei leader europei a Berlino in preparazione del G20 di Amburgo. Il premier italiano ha chiesto agli altri capi di stato europei di rispettare gli accordi stipulati nel 2015 che prevedevano il ricollocamento secondo un sistema di quote di 160mila richiedenti asilo. Gentiloni ha fissato un ultimatum di una settimana, ventilando la possibilità che l’Italia possa mettere in atto delle ripercussioni, se non si troverà un accordo sul ricollocamento dei richiedenti asilo.

Sulla stampa italiana e internazionale è stato dato largo spazio all’idea di una possibile chiusura dei porti italiani alle navi delle ong, soluzione che è stata attribuita al ministro dell’interno Marco Minniti. Tuttavia in un’intervista al Corriere della sera, il ministro dei trasporti Graziano Delrio ha smentito questa possibilità. “Nessun porto chiuso, lo dico da responsabile della guardia costiera e delle operazioni di soccorso ai migranti. Non stiamo rinunciando a quei princìpi di umanità che l’Italia ha messo in campo con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni”, ha detto Delrio al Corriere della sera. Anche il viceministro degli esteri Mario Giro in un’altra intervista ha sostenuto la posizione del ministro dei trasporti: “Non rappresenta una soluzione chiudere i porti, come ha detto Delrio che è l’autorità delegata a questo provvedimento. La questione si risolve chiedendo agli altri paesi il rispetto dei patti, ci siamo stancati di ricevere complimenti senza però avere aiuti concreti”. Come messo in luce da molti analisti, chiudere i porti a navi umanitarie è in contrasto con la convenzione di Amburgo del 1979 e con altre norme del diritto internazionale che prevedono che le persone soccorse in mare siano portate nel porto sicuro più vicino alla zona del salvataggio.

L’invasione che non c’è. I toni allarmistici del governo italiano sono stati in parte giustificati dall’aumento degli arrivi di migranti sulle coste italiane nei primi sei mesi del 2017. Da gennaio a giugno sono arrivate in Italia 83.360 persone, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Nello stesso periodo dell’anno precedente erano sbarcate nel paese 70.022 persone. C’è stato quindi un aumento degli arrivi del 18,7 per cento, che in numeri assoluti corrisponde a poco più di diecimila persone. Entro l’anno in Italia potrebbero arrivare più di 200mila persone, cifra già prevista dal sistema di accoglienza nazionale.

Se si guarda tuttavia ai dati europei, si riscontra un’importante diminuzione degli arrivi di migranti dal 2015 a oggi. Nei primi sei mesi del 2017 sono arrivate sul territorio europeo attraverso il Mediterraneo 95.768 persone, mentre nello stesso periodo dell’anno precedente ne erano arrivate 230.230. Questa drastica diminuzione è dovuta in gran parte alla chiusura della cosiddetta rotta balcanica, con il ripristino dei controlli alle frontiere di molti paese europei e la revoca delle regole di Schengen. Inoltre i governi europei nel marzo del 2016 hanno concluso un accordo con la Turchia per fermare le traversate di migranti dalle coste turche a quelle greche.

L’accordo prevedeva che tutti i migranti che avessero provato ad attraversare l’Egeo dopo il 20 marzo sarebbero stati rimandati indietro, misura che in parte è stata attuata grazie a una riforma della legge sull’asilo in Grecia, approvata nell’aprile del 2016, e alla sperimentazione di diverse procedure legali di emergenza, come documentato dal rapporto dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) Esperimento Grecia: un’idea di Europa. Se si osservano i numeri, quindi, sembra improprio parlare di invasione o di emergenza. La situazione di difficoltà e di pressione che il sistema di accoglienza italiano e greco si sono trovati ad affrontare nell’ultimo anno è stato provocato dal ripristino dei controlli alle frontiere interne dell’Europa e dall’inefficienza del sistema di ripartizione per quote introdotto dall’Agenda europea delle migrazioni nel 2015, più che da un aumento importante degli arrivi.

Le responsabilità dell’Europa. Il governo italiano ha ottime ragioni per chiedere un maggiore sostegno dell’Unione europea nella gestione del fenomeno migratorio, in particolare per l’accoglienza dei migranti che negli ultimi due anni sono rimasti “bloccati” in Italia e in Grecia a causa dei limiti normativi del sistema d’asilo europeo.

L’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha commentato le rivendicazioni del governo italiano chiedendo al governo di non confondere i soccorsi in mare con l’accoglienza. “Appare inaccettabile la confusione politica che introduce una distorsione tra il luogo nel quale si attua il primo soccorso – nel caso dei salvataggi in mare è il luogo sicuro come definito dal diritto internazionale marittimo e in particolare della Convenzione Sar del 1979 – e le successive responsabilità dell’accoglienza dei rifugiati una volta che i soccorsi sono conclusi”, ha scritto l’Asgi in un comunicato.

Secondo l’associazione, nella condizione attuale non è possibile applicare le norme imposte dal Regolamento di Dublino, il sistema comune europeo sull’asilo, che costringe il primo paese di ingresso in Europa a essere responsabile per l’esame della domanda di asilo. Gianfranco Schiavone dell’Asgi ha spiegato: “È necessaria l’adozione di un nuovo paradigma in base al quale la suddivisione dell’onere dell’accoglienza e della protezione dei richiedenti asilo non sia legata al mero fatto geografico dell’arrivo, bensì a un principio di equa ripartizione tra gli stati membri”.

Negli ultimi due anni infatti l’Italia e la Grecia si sono trasformati in paesi di arrivo, mentre in precedenza erano soprattutto paesi di transito per i migranti diretti nei paesi del Nordeuropa a causa di diversi fattori: il ripristino dei controlli alle frontiere interne, l’introduzione nel 2015 del cosiddetto approccio hotspot che costringe le autorità italiane e quelle greche a identificare e fotosegnalare tutti i migranti irregolari in un sistema comune europeo (Eurodac) e il fallimento delle politiche di ricollocamento introdotte dall’Agenda europea sulle migrazioni. “Se il governo italiano vuole veramente riformare il sistema europeo d’asilo in una direzione di un sistema più equo e razionale agisca con massima fermezza sull’agenda politica europea e cessi le dichiarazioni inaccettabili rilasciate nelle ultime ore”, ha concluso Schiavone.“>

Riforma del sistema Dublino e applicazione dei ricollocamenti previsti dall’Agenda europea sull’immigrazione dovrebbero essere due strade da percorrere per ottenere il sostegno degli altri paesi europei sulla gestione dei flussi migratori. Ma alcuni analisti suggeriscono che anche aprire dei canali legali verso l’Europa potrebbe aiutare l’Italia al tavolo delle trattative in Europa.

Il ricercatore Mattia Toaldo sulla rivista Refugees Deeply ha spiegato: “L’Europa può chiudere i canali illegali d’ingresso per i migranti, solo se aprirà dei canali legali. Le due cose vanno di pari passo […]Deve essere concepito un nuovo sistema che preveda la concessione di visti per lavoro, in cambio di accordi di rimpatrio con i paesi di origine”. Secondo Toaldo, infatti, c’è stato un aumento degli arrivi irregolari in Italia da quando nel 2002 i canali di ingresso legali (visti per lavoro, studio, ricongiungimenti) si sono ridotti con l’approvazione della legge Bossi Fini (Testo unico sull’immigrazione) e le politiche di rimpatrio degli irregolari sulle quali l’Unione europea sta puntando hanno mostrato la loro inefficacia.

Dalle pagine del Corriere della Sera, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di sant’Egidio suggerisce un’altra strada: quella della concessione della protezione umanitaria ai migranti arrivati in Italia e che però vogliono raggiungere altri paesi europei, in base alla direttiva europea 55 del 20 luglio 2001. “In virtù della direttiva del 2001, tutti i paesi europei si prendono una parte dei migranti e riconoscono loro la protezione temporanea”, afferma Impagliazzo.

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