15. September 2015 · Kommentare deaktiviert für „Migranti, intelligence e abbordaggi per fermare i barconi. Ma pesa il caos libico“ · Kategorien: Mittelmeer · Tags:

Quelle: La Repubblica

L’Europa avvia la fase due del piano anti-carrette del mare: interventi con aeronautica e marina in acque internazionali. Per le incursioni a terra serve il via libera dell’Onu

di GIAMPAOLO CADALANU

Lo strumento militare contro gli scafisti: l’avvio della „fase 2“ della missione Eunavfor Med è ormai ufficiale, le navi europee hanno il via libera per fermare e controllare in acque internazionali le barche dei migranti, con l’autorità di sequestrarle e distruggerle, ma sempre con la massima attenzione a salvare le vite umane. Più che un’operazione militare tradizionale, è un’operazione di polizia messa in pratica con gli strumenti delle forze armate. Non è previsto, com’era ovvio, nessun genere di „attacco“ alle carrette dei disperati, e tanto meno un bombardamento. In più, la fase due della missione arriva fino a un limite ben evidente: le acque territoriali di Paesi sovrani e il loro territorio, in cui però le forze europee potrebbero spingersi nella „fase tre“.

Perché incrociatori e caccia arrivino, per esempio, fin dentro il Golfo di Sirte, perché le diverse aeronautiche dei Paesi europei possano colpire a terra i mezzi degli scafisti o perché militari europei possano metter piede sul territorio libico, servirà una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, oppure un invito preciso delle autorità libiche, o magari tutt’e due.

Le navi di Eunavfor Med si apprestano dunque a fare abbordaggio alle imbarcazioni sospette, come permette la legge del mare e in particolare la convenzione di Montego Bay dell’82. Tecnicamente, è un’azione che presenta pochi problemi, già fatta più volte nelle acque della Somalia, durante le campagne anti-pirateria. Per la Marina italiana, in più, è una prassi già sperimentata con Mare Nostrum nel Mediterraneo, e con la missione Atalanta al largo del Corno d’Africa.

Ai controlli si dovrà affiancare una forte azione di intelligence, come già è successo in Somalia, grazie a un lavoro delicato che ha condotto all’accordo con i capi delle tribù costiere. Al quartier generale di Centocelle non lo possono dire, ma è palese che i primi passi per le operazioni di intelligence non possono che essere già ben avviati. E proprio il lavoro „dietro le quinte“ risulterà prezioso quando e se l’Europa darà via libera alla fase 3, quella che prevede „gli scarponi sul terreno“, ed è dunque la più delicata. Più che la copertura legale delle Nazioni Unite, a garantire un risultato accettabile per l’intervento in acque libiche e soprattutto per le operazioni di terra è indispensabile un accordo con i locali, anche se per adesso la confusa situazione libica potrebbe imporre un rinvio. Per poter distinguere quali barche siano effettivamente usate dai nuovi schiavisti e quali invece siano strumenti di lavoro per i pescatori, il sostegno delle comunità locali è indispensabile. A esso si affiancano le perlustrazioni affidate a nuclei ristretti di truppe speciali e ai mezzi dell’Aeronautica, in particolare i droni che garantiscono invisibilità e lunga autonomia in volo. I dettagli di ogni missione saranno modulati sulle regole di ingaggio, che per il momento sono ancora tutte da decidere, sulla base delle priorità politiche e del quadro di riferimento legale. Ma a meno di un accordo più o meno ufficiale con le autorità locali, eventuali pattuglie di incursori correrebbero rischi fortissimi, sottolineano gli analisti di affari militari. In altre parole: per evitare che domani un drappello di specialisti del Comsubin sia bloccato in terra libica e diventi un ostaggio prezioso per gli integralisti dell’Is, è indispensabile che gli incursori lavorino fianco a fianco con i libici. I rischi resterebbero comunque molto elevati. Ma gli esperti non hanno dubbi: un’azione che non preveda la presenza concreta sul territorio avrà poche possibilità di successo, soprattutto in termini di dissuasione dei trafficanti. Per capirlo, basta pensare che gli scafisti si fanno pagare prima dell’imbarco: un intervento che blocchi la barca „dopo“ il pagamento del percorso finisce per essere persino gradito ai trafficanti, in genere molto disponibili a disfarsi della „carretta di mare“ utilizzata, dopo il viaggio. E per distruggere le barche con efficacia, riducendo al minimo il pericolo di fare vittime civili, bisogna andare molto, molto vicini.

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