Il Manifesto | 10.03.2017
Cani e manganelli, le violenze ungheresi contro i migranti
Reportage dal confine. Obbligati a stare stesi a terra al gelo o a tornare in Serbia scalzi. Così ogni notte Budapest difende la sua frontiera meridionale
Flore Murard-Yovanovitch, SUBOTICA (SERBIA)
Nascosti tra i boschi alla ricerca di un varco e poi, una volta trovato, di corsa oltre il confine cercando di evitare i radar e i cani. Sono centinaia i profughi che ogni notte aspettano sotto il muro-Europa tenendo d’occhio la seconda recinzione che l’Ungheria sta costruendo dopo la barriera lunga 175 chilometri che già separa il Paese dalla Serbia. E sono decine le volte che provano a superare le due barriere. Anche stasera.
Chi riesce a passare, se sorpreso in territorio ungherese, viene brutalmente picchiato per ore, come è successo il 25 febbraio scorso a un gruppo di 75 migranti. Spray negli occhi, manganelli, colpi nelle costole, sui piedi, attaccati e morsi dai cani. «Ero riuscito a percorrere almeno 40 chilometri in territorio ungherese quando i poliziotti ci hanno arrestati. Hanno distrutto i nostri cellulari e sequestrato le scarpe, ci hanno picchiati e costretto a tornare indietro scalzi nel freddo», racconta Rehab, pachistano con l’occhio nero sanguinolente, nella stazione di Subotica, nella serba Voivotina. Tra i binari ci sono altre persone ferite, con gli arti rotti.