Corriere della Sera | 09.09.2017
Nel covo di zio Dabbashi. Così il principe degli scafisti ha schierato le sue milizie per fermare i migranti
di Lorenzo Cremonesi, inviato in Libia
Ancora nel 2010 Ahmad Dabbashi era un facchino appena ventenne al mercato all’aperto. Uno di quelli che si presta per lavoretti a ore di ogni tipo, trasporta le cassette della frutta, scarica i camion e aiuta anche nei traslochi, con il padre impiegato all’ufficio postale di Sabratha e i fratelli ancora bambini che giocano a pallone per la strada. «Un poveraccio a cui non avresti dato un soldo. “Ammu, mi regaleresti una sigaretta?”, chiedeva strascicato a quelli che incontrava. Così diceva, “ammu”, che in arabo significa zio. E per tutti era diventato “Al Ammu” lo zio. Chi avrebbe mai detto che in pochissimi anni sarebbe diventato il bandito più famoso della regione, contrabbandiere di petrolio e trafficante di esseri umani, sino a trasformarsi adesso in poliziotto anti migranti per eccellenza, che tratta con il governo di Tripoli e persino con quello italiano?». Sono le parole di Mohammad, un suo vecchio vicino di casa. E rispecchiano fedelmente ciò che a Sabratha e dintorni è oggi il parere più comune: Al Ammu, l’ex facchino, ha fatto fortuna.