10. Juni 2016 · Kommentare deaktiviert für Italien, Rosarno: No justice no peace – Protest gegen Erschiessung · Kategorien: Italien, Mali · Tags: ,

Nachdem im italienischen Rosarno ein 27 Jähriger Arbeiter aus Mali von der Polizei erschossen wurde, breiten sich die Proteste. Rosarno
ist eine der wichtigsten Orangenproduktionsstätten Italiens und Ort massiver Ausbeutung von Geflüchteten, die von Lampedusa und Sizilien weiter nach Norden wollen.

27y old worker from Mali has been killed by italian police in Rosarno. The field workers started to protest against italian state and police. Rosarno is a heraldic point of the italian agriculture (orange production). Many refugees get massivly exploited here, as well it is on the way from Lampedusa / Sicily to the north.

Quelle: Radio Onda d’Urto

GIOIA TAURO: NUOVE PROTESTE DEI MIGRANTI DOPO L’OMICIDIO DI SEKINE TRAORE.

Rabbia e tensione alla tendopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), Comune commissariato ormai dal 2014 per infiltrazioni mafiose e a cinque chilometri da Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, dove martedì 8 giugno un carabiniere ha sparato e ucciso Sekine Traore, 27enne maliano, all’interno della tendopoli che ospita, in condizioni spesso disumane, tra i 500 e i mille migranti richiamati dalla possibilità di guadagnare pochi euro in ore di lavoro massacrante nei campi agricoli della zona.

Per il procuratore della Repubblica di Palmi Ottavio Sferlazza si delinea la legittima difesa per il militare indagato, un appuntato dei carabinieri, Antonino Catalano: si parla di una rissa e di un coltello. Diversa invece la versione degli amici della vittima, che parlano dell’intervento di sei carabinieri – anziché i due per ora resi ufficiali – per sedare un forte diverbio tra alcuni compagni di tenda, ma negano la presenza di armi bianche.

Non collimano, al momento, tra loro pure le versioni di Procura e Carabinieri: secondo quanto scrivono i media mainstream, la prima indaga per legittima difesa, con il carabiniere che avrebbe sparato all’addome di Sekine dopo aver ricevuto tre coltellate, mentre il comando reggino dell’Arma parla invece di colpo partito accidentalmente. A fare chiarezza, forse, l’autopsia, attesa tra oggi e domani.

PROTESTE – Intanto ieri sera, mercoledì 9 giugno, alle 20 per protesta bloccata la strada davanti alla tendopoli: i migranti hanno bloccato la strada con dei materassi, inscenando una forma di protesta. Sul posto sono arrivati carabinieri e polizia: dopo un’ora, i migranti hanno tolto il blocco.

Stamattina, mercoledì 9 giugno, la protesta è ripartita: strada ancora bloccata, stavolta con i cassonetti, e cartelli con scritte come “No Justice No Peace” e “7 poliziotti contro 1 migrante: dov’è la giustizia?”.

Verso le 10 i migranti sono partiti in corteo verso il centro del paese denunciando l’omicidio poliziesco e le spaventose condizioni, di vita e di lavoro, in cui sono costretti da cosche mafiose (in particolare i clan Pesce e Bellocco), sfruttamento da parte capitale agricolo e dall’indifferenza delle istituzioni. I migranti sono arrivati davanti al Municipio, dove continua la protesta.

Per seguire la mobilitazione (via Facebook) clicca qui (pagina “Lavoratori delle campagne”).

Da San Ferdinando la seconda corrispondenza, delle 11.45, con Antonino, compagno e attivista antirazzista di Rosarno.

Ascolta o scarica qui

Da San Ferdinando la corrispondenza, delle ore 10, con Giulia, di Medu – Medici per i diritti umani

Ascolta o scarica qui

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siehe auch: AgoraVox

Rosarno. No Justice, No Peace: per Sheikh Traore e tutte le vittime di un sistema da abolire

di Clash City Workers (sito)

da CWW

Ripubblichiamo l’articolo del Comitato dei lavoratori delle campagne e di Campagne in lotta sull’omicidio del bracciante Sheikh Traore a Rosarno. Un fatto che accusa non solo chi pretende di far valere la legge sparando agli schiavi delle piantagioni dei tempi nostri, ma tutto un sistema basato sulle difficoltà di ottenere permessi di soggiorno e residenze, sulle connivenze di amministrazioni e sindacati, sulla scelta di non dare risposte a chi sempre di più si sta organizzando per conquistare i propri diritti.

Una nuova tragedia, dal copione purtroppo sempre uguale a se stesso, si è consumata due giorni fa nella tendopoli di San Ferdinando, nei pressi di Rosarno. Un evento come ne capitano spesso nelle periferie e nei ghetti di tutto il pianeta.

Ma in questo caso si tratta di un omicidio di stato, perché come già avvenuto in passato, i responsabili sono i suoi fedeli servi, quelle forze dell’ordine che ancora una volta abusano del proprio potere, arrivando a togliere la vita ad una persona. Ma anche perché quella tendopoli è stata voluta e progettata dallo stato stesso, che ha creato l’emergenza, il ghetto e le condizioni di precarietà totale e tensione che questi determinano. Questa volta ne ha fatto le spese un ventisettenne maliano che abitava nella tendopolI, Sheikh Traoré, il quale al di là di ogni ricostruzione possibile è stato brutalmente assassinato mercoledì 8 giugno.

La dinamica riportata dalla questura e dai media è alquanto discutibile, ed è tesa esclusivamente a tenere in piedi la tesi della legittima difesa. Come è possibile che le forze dell’ordine, in numero superiore (pare fossero ben 7), debbano ricorrere alle armi da fuoco per sedare una persona, anche se questa fosse in uno stato non controllabile? Come è possibile che, come raccontato dalle voci delle persone presenti al campo, il lancio del “coltello” e lo sparo siano in momenti temporali differenti, provando l’ipotesi di un’esecuzione a freddo? E come è possibile che un procuratore della Repubblica, prima che si siano concluse le indagini, già avvalori la tesi della legittima difesa?

Ai giornali non è interessato fornire una ricostruzione veritiera, ascoltando le testimonianze dei presenti o approfondendo la dinamica: la morte di un africano immigrato, seppur per mano di un carabiniere, è notizia quasi da tutti i giorni, che non necessita di approfondimenti di alcun tipo poiché si spiega con l’anormalità del soggetto, con il suo essere ‘disturbato, ubriaco, rissoso’ com’è ovvio, essendo immigrato. Eppure la storia arrivata dalle veline della questura appare totalmente discutibile. Non è un caso, appunto, che i giornali abbiano sostenuto immediatamente la tesi della legittima difesa, o addirittura quella del colpo partito accidentalmente, che in maniera drammatica ricorda l’assassinio di Davide Bifolco, avvenuto a Napoli 2 anni fa. Un nuovo omicidio di stato in un’altra delle estreme periferie di questo paese, buona a balzare agli onori della cronaca solo per eventi tragici come quello di mercoledì.

E non è un caso nemmeno che la risposta del neoeletto sindaco di Rosarno sia stata la solita dichiarazione populista tutta improntata su un’ottica securitaria: bisogna sgomberare la tendopoli, e non si possono accogliere tutti, sono troppi. D’altronde, anche la CGIL è orientata all’ottica del meno peggio: qualche tempo fa, dopo l’ennesima promessa di intervento da parte della Prefettura, aveva dichiarato di volere che i lavoratori fossero trasferiti ‘in container’. Come se facesse la differenza.

Ma la risposta dei braccianti della tendopoli non si è fatta attendere: il 9 giugno, sono scesi in corteo ed hanno raggiunto il comune di San Ferdinando, dove hanno ottenuto di parlare con i suoi rappresentanti chiedendo soluzioni immediate, non soltanto giustizia e verità per la morte di Sheikh, ma la fine delle aggressioni che i braccianti della tendopoli e degli altri insediamenti subiscono quotidianamente, di ritorno dal lavoro, e soluzioni concrete ed immediate per eliminare le cause prime di questa condizione di assoluta vulnerabilità, a cui però i lavoratori non si piegano.

I problemi che vivono i braccianti agricoli e gli abitanti della tendopoli come di molti altri luoghi simili, in tutta Italia, sono molteplici: scarsezza di risorse igieniche e sanitarie, mancanza di acqua ed elettricità in alcuni casi. Condizioni abitative che si sommano alle condizioni di vita nel lavoro, con l’altissimo tasso di sfruttamento, e di vita, legate alla dipendenza e alle difficoltà burocratiche per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Questi elementi sono quelli che creano veri e propri ghetti prossimi alle nostre città, dove la marginalità sociale e l’esclusione da ogni tipo di meccanismo di integrazione sono condizioni che permeano quotidianamente la vita di queste persone.

Come recitavano i cartelli imbracciati dai lavoratori, ricordando anche le vittime del razzismo di stato oltreoceano, senza giustizia non c’è pace! Verità per la morte di Sheikh Traoré e di tutte le vittime di questo sistema fatto di discriminazione e sfruttamento. Da Foggia a Rosarno, uniti in un solo grido e in una sola lotta.

Comitato Lavoratori delle Campagne
Rete Campagne in Lotta

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