Quelle: La Repubblica
Grande successo per l’unica opera italiana presente al festival. L’intervista a Gianfranco Rosi, regista del documentario che racconta la tragedia dei migranti a Lampedusa
Poca, pochissima Italia alla Berlinale, ma quando arriva strappa applausi. Almeno è stato così per Gianfranco Rosi, regista già vincitore inaspettato qualche anno fa del Leone d’Oro a Venezia con Sacro Gra, torna sul grande schermo con un documentario girato interamente a Lampedusa: basta solo il nome dell’isola per capire tutto. Ai tedeschi il film è piaciuto molto, un film come lo ha definito Rosi “politico a priori”. Fuocoammare, che prende il titolo da una vecchia canzone nata nell’isola, è di fatto per noi italiani un pugno sferrato allo stomaco che però non fa poi così male, poiché di immagini di migranti morti, inscatolati dentro barche improbabili, di bambini disidratati, uccisi dai gas di scarico dei motori dentro i barconi, di famiglie distrutte, siamo raggiunti continuamente, quasi fosse una macabra colonna sonora scandita dal segnale orario della radio. Che i giornalisti stranieri presenti a Berlino abbiano dato voti molto alti a Fuocoammare, conferma, come se avessimo bisogno di una cartina tornasole che il dramma dei migranti che parte dalle coste libiche verso l’isola di Lampedusa è stato per troppo tempo un dramma che l’Unione Europea e il mondo non hanno prestato abbastanza attenzione e che ora a fatto compiuto si cerchi una soluzione che continua a non arrivare. Rosi sceglie di raccontare, come lui stesso lo ha definito “l’olocausto del nostro secolo” da un lato attraverso la vita quotidiana di Samuele, un giovane ragazzino lampedusano di 12 anni, dall’altra attraverso le storie di altri personaggi quali lo zio pescatore di Samuele, la zia Maria o il dj Pippo che ha recuperato proprio la canzone Fuocoammare dal nonno. Tutti, spettatori e testimoni, partecipi e inconsapevoli, di una tragedia contemporanea per la quale non si trova soluzione. Fuocoammare arriverà nelle sale in Italia il 18 febbraio prossimo.
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