08. Februar 2018 · Kommentare deaktiviert für Mappa di migranti e rifugiati esclusi dal sistema di accoglienza · Kategorien: Italien, Schengen Migration · Tags:

Fuori Campo heißt ein gerade erschienener Report von Medici Senza Frontiere über die ca. 10.000 Migranten und Geflüchteten in Italien,  die aus dem System staatlicher Unterkünfte herausgefallen sind und in besetzten Gebäuden und anderen informellen Behausungen leben.

Medici Senza Frontiere | 08.02.2018

Bloccati alle frontiere, negli spazi aperti e negli edifici occupati delle città, nei ghetti delle aree rurali, senza accesso ai beni essenziali e alle cure mediche di base, spesso costretti a condizioni di vita durissime. Vivono così migliaia di richiedenti asilo e rifugiati, che pur essendo regolarmente presenti sul territorio italiano, si trovano al di fuori di un sistema di accoglienza ancora ampiamente inadeguato.

Lo denuncia la seconda edizione del nostro rapporto “Fuori campo”, frutto di un lavoro di monitoraggio compiuto nel 2016-2017 in circa 50 insediamenti informali, per un totale di 10.000 persone, in prevalenza richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale o umanitaria.

Chiediamo alle istituzioni competenti, nazionali e locali, di favorire concrete politiche di accoglienza e inclusione sociale per richiedenti asilo e rifugiati, e di assicurare l’accesso ai beni primari e alle cure mediche a tutti i migranti presenti in Italia, a prescindere dal loro status giuridico e per tutto il periodo della loro permanenza sul territorio italiano.

“Dopo due anni, Fuori Campo si conferma una triste mappatura della vulnerabilità e dell’emarginazione sociale cui sono costrette migliaia di uomini, donne e bambini che avrebbero diritto ad accoglienza e protezione mentre oggi non hanno nemmeno un riparo decoroso, cibo sufficiente, l’accesso a cure essenziali”, dichiara Giuseppe De Mola, advocacy officer MSF, curatore del rapporto Fuori Campo.

“Una situazione desolante, che non ha bisogno di strumentalizzazioni e inapplicabili slogan, ma di soluzioni reali, a partire da un più adeguato modello di accoglienza e da serie politiche di integrazione, a livello nazionale, regionale e locale”.

Sempre più marginalità

Rispetto al quadro delineato nella prima edizione del rapporto riferita al 2015, i recenti sgomberi forzati senza soluzioni abitative alternative stanno determinando la frammentazione degli insediamenti informali e la costituzione di piccoli gruppi di persone che vivono in luoghi sempre più marginali e che non riescono ad accedere non solo ai servizi socio-sanitari territoriali, ma anche ai beni più elementari come l’acqua, il cibo, l’elettricità.

Tra loro ci sono persone provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni, titolari di una forma di protezione internazionale o umanitaria ma che faticano a raggiungere un inserimento lavorativo e abitativo stabile. In alcuni siti, ci sono anche italiani a condividere le condizioni dei migranti.

In molti casi l’assistenza a migranti e rifugiati esclusi dall’accoglienza viene garantita da gruppi di volontari locali, che spesso per questo motivo subiscono forti pressioni, talvolta culminate in procedimenti giudiziari nei loro confronti.

Mal di Frontiera

Nell’ambito dell’analisi sui migranti in Italia, dedichiamo un’indagine specifica, “Mal di Frontiera”, al caso Ventimiglia. Qui i respingimenti dalla Francia continuano nonostante gli accordi di Schengen sulla libera circolazione siano ancora formalmente in vigore, e quasi 1 migrante su 4 tra quelli intervistati ha dichiarato di avere subito violenze, in molti casi commesse da uomini in uniforme di nazionalità italiana o francese.

A causa della chiusura delle frontiere da parte di Francia, Austria e Svizzera, più di 20 persone negli ultimi due anni sono morte nel tentativo di attraversare i confini e cresce ovunque il numero di migranti, anche minori non accompagnati, bloccati nelle aree di frontiera, che vivono in insediamenti informali, spesso all’aperto, nei parchi cittadini, lungo le rive dei fiumi, presso le stazioni ferroviarie, con un accesso limitato ai beni essenziali e all’assistenza sanitaria.

In alcune città le istituzioni locali hanno cercato di superare la condizione di marginalità di alcuni insediamenti informali, anche all’interno di edifici occupati, rifuggendo dalla logica degli sgomberi forzati (come a Torino, Padova, Cosenza); alcune Aziende Sanitarie Locali hanno promosso l’inclusione degli abitanti di insediamenti informali nel servizio sanitario pubblico, anche in collaborazione con MSF (Torino e Roma). Tutte esperienze concrete, che vanno nella direzione dell’integrazione sociale di uomini, donne e bambini che si trovano comunque a vivere in una condizione di vulnerabilità estrema.

“Molte delle attuali politiche locali, nazionali ed europee per la gestione della migrazione sono totalmente incentrate sul controllo dei flussi e la chiusura delle frontiere, alla proclamata ricerca di sicurezza, ma hanno come risultato diretto la creazione di vulnerabilità e marginalità sociale”, dichiara Tommaso Fabbri, capo dei programmi MSF in Italia. “È ora di invertire la rotta e dare vita a politiche di accoglienza e integrazione strutturali e più umane: ne beneficerebbero, oltre che migranti e rifugiati, anche le comunità locali.”

L’impegno di MSF

Nel 2016 e nel 2017, MSF ha rafforzato il proprio impegno a supporto dei migranti negli insediamenti informali. A Como e Ventimiglia è stato realizzato un programma di primo soccorso psicologico per le popolazioni in transito, integrato nella città ligure da un intervento sulla salute della donna. A Roma è stata avviata un’attività di salute primaria e supporto psicologico all’interno di edifici abbandonati dove uomini, donne e bambini vivono in condizioni indegne.

A Bari e Torino MSF ha avviato un programma di orientamento socio-sanitario all’interno di edifici occupati, per superare la marginalità dei residenti facilitando il loro accesso alle strutture del Servizio Sanitario Nazionale. Infine, nelle città di frontiera, attraverso la collaborazione con gruppi di volontari locali, MSF ha reso possibile la distribuzione di generi di prima necessità, come coperte, sacchi a pelo, kit igienici.

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MSF | 08.02.2018

“Out of sight” – Second edition

Executive summary

This report is a follow-up to the research contained in „Out of Sight“ – Asylum seekers and refugees in Italy: informal settlements and social marginalisation. It is the result of constant monitoring activities carried out in 2016 and 2017 by way of repeated field visits and in collaboration with an extensive network of local associations.

The reception system for asylum seekers and refugees was expanded to reach just over 180,000 places as of 31 December 2017 and, for the most part, continues to be based on extraordinary reception facilities. More than 150 thousand migrants are housed in Emergency Reception Centres, compared to only 31,270 accommodated in the Protection System for Asylum Seekers and Refugees (SPRAR) network. The structural distress of the system is mainly caused by the low turnover levels in the centres and by the lengthening of asylum application examination times. The chronic shortage of places is accompanied by the effective absence of services aimed at assisting social inclusion, due mainly to the emergency-based structure of the system. For this reason, many migrants who leave the reception centres at the end of the asylum process are forced to live in informal settlements. The settlements are also populated by migrants who are attempting to apply for asylum and have failed to enter the reception system and those who try to reach another EU state and get stranded at the borders.

Following the recent security measures and the urban decorum regulations adopted by the Government, there have been repeated forced evictions, especially in cities, in the absence of alternative housing solutions. In August 2017, a violent intervention by police forces that was not preceded by adequate notice evacuated the building in Via Curtatone where more than 800 refugees of Eritrean origin had lived since 2013. During that conflict, a team from Médecins Sans Frontières was present in the square outside the building, offering psychological support and treating around 13 injured people, mostly women.

The increase in marginalisation and forced evictions causes the fragmentation of informal settlements and the establishment of small groups of migrants living in increasingly hidden places, where they are not only invisible, but also face deplorable living conditions, with men, women and children who cannot access the most basic goods. In Rome, MSF has recorded the presence of Italian citizens within informal settlements, as well as in the structured settlements, who share the same conditions of marginalisation as migrants. This is not an isolated case in Italy.

Migrants suffer repeated rejections at the Swiss, Austrian and French borders, often accompanied by violence. Of the 287 adults that MSF interviewed in Ventimiglia between 28 August and 14 September 2017, 131 said they had tried to cross the French border. Of these, 90 had attempted to cross it between one and three times, 25 between four and seven times, and eight people had attempted more than 12 times. In addition, 23.6 per cent of those who tried to cross the border declared that they had suffered at least one act of violence committed by Italian or French men in uniform.  In the past two years, more than 20 people have died attempting to cross the borders with France, Austria and Switzerland.

Due to administrative barriers and despite the laws in force, migrants and refugees in informal settlements who possess a residence permit or otherwise, experience reduced possibilities of accessing medical treatments, beginning with general medicine. Hospital emergency services are increasingly becoming the only gateway to the Italian National Healthcare Service (SSN).

In Italy there are volunteers and activists who work for free to support migrants excluded from the reception system, facilitating their access to primary goods and care. However, in recent years many have been criminalised for this involvement.

In 2016 and 2017, MSF strengthened its commitment to supporting migrants in informal settlements. In Como and Ventimiglia, a psychological first-aid programme was created for populations in transit, together with a women’s health intervention in Ventimiglia. In Rome, primary health care and psychological support activities were initiated in disused buildings where men, women and children live in disgraceful conditions. This is the case of many settlements in the area of Tor Cervara (Tiburtina), where hundreds of migrants and refugees live among abandoned buildings, disused factories and warehouses. They live without water, electricity and gas, often in rat-infested buildings surrounded by illegal landfills. In Bari and Torino, MSF has worked within occupied buildings, seeking to overcome the marginalisation of the residents by facilitating their access to National Healthcare Service facilities. MSF has also sustained and supports volunteers and associations in the border cities from Ventimiglia to Udine, donating materials, in particular, hygiene kits, blankets and sleeping bags.

The report confirms the estimate indicated in the first edition of Fuori Campo: there are at least 10,000 homeless people, among international and humanitarian protection permit holders and applicants, with limited or no access to basic goods and medical care. The distribution of the settlements is fragmented and widespread throughout the country.

MSF’s requests

The migrants and refugees living in informal settlements – on the borders, in open spaces, in occupied buildings in the cities and in ghettos in rural areas – are men, women and children in vulnerable circumstances. Regardless of their legal status, they should all be guaranteed access to basic goods and medical care throughout the period of their stay in Italy. The relevant institutions have a duty to ensure this. On this basis, MSF requires the competent authorities to:

IMPROVE THE RECEPTION SYSTEM

Unify the reception system for asylum seekers and refugees, including unaccompanied foreign minors, moving beyond Emergency Reception Centres and assigning local authorities with the task of activating and managing ordinary reception facilities currently in the SPRAR network and, therefore, in the social welfare services sector of the respective territories, based on planning fixed quotas at a national and regional level.

PROMOTE AUTONOMY AND INTEGRATION

Provide economic support programmes, job placement and housing for beneficiaries leaving the reception system, aimed at supporting their social entry path, up until their effective autonomy. Prepare housing solutions for seasonal agricultural workers, providing widespread reception operations and facilitating access to ordinary housing available in the area.

NO EVICTIONS WITHOUT ALTERNATIVE HOUSING SOLUTIONS

In the interests of stable social inclusion, avoid the removal of informal settlements by means of forced evictions in the absence of alternative housing solutions. In the absence of alternative solutions and where possible, use the same informal settlement structures, rectifying any administrative irregularities, carrying out the necessary redevelopment works, even by means of autonomous recovery and focusing on pertinent forms of self-management as a tool which may favour a path towards autonomy. The removal of informal settlements cannot justify the use of violence under any circumstances.

STRENGTHENING HUMANITARIAN INTERVENTIONS FOR MIGRANTS „IN TRANSIT“

Strengthen humanitarian interventions for so-called migrants „in transit“ at borders and ensure the effective use of the options provided by law that may permit a legal transit towards other countries. Irregular border transits cannot justify the use of violence, such as those documented by MSF in Ventimiglia, under any circumstances.

FACILITATE ACCESS TO HEALTHCARE

Eliminate bureaucratic and administrative barriers that hinder the registration and renewal of National Healthcare Service membership. Specifically, provide registration procedures for asylum seekers and refugees that are not subject to any residency requirements and are exclusively related to the place of actual residence which may also be declared through self-certification, regardless of the nature and temporary character of such a place. Provide for the presence of linguistic-cultural mediators in services with elevated migrant access.

SERVICES FOR MIGRANTS IN TRANSIT

Promote access to the National Healthcare System under the STP regime for migrants in transit to other EU countries (e.g. in border areas), if they do not have a residence permit, with priority for general medical services, women’s and children’s health and mental health. Introduce treatment and follow-up protocols for second-level services that take into account the limited time spent in the territory.

MONITOR INFORMAL SETTLEMENTS

Activate integrated neighbourhood programmes provided by municipal social services and local health authorities, also through the use of street units in informal settlements, with the goal of directing the people to community services and of identifying and taking charge of the most vulnerable cases with particular reference to minors, pregnant women, people suffering from serious physical diseases or mental disorders, victims of torture or other severe forms of physical or psychological violence.

STOP THE CRIMINALISATION OF SOLIDARITY

Ensure the full application of the humanitarian exemption that explicitly excludes relief activities and humanitarian assistance from the crime of aiding and facilitate both the irregular entry, transit and staying of migrants. The interpretation of this clause must also include the rescue of people, as well as assisting their access to primary goods (shelter, food, water) and medical care.

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La Stampa | 08.02.2018

Gli invisibili: 10 mila migranti e rifugiati vivono in edifici occupati e ghetti

Il rapporto «Fuori Campo» di Medici Senza Frontiere. «Più della metà abita in insediamenti senza accesso all’acqua potabile», denuncia il direttore generale Eminente

Davide Lessi

Da Torino a Milano, passando per Roma, Gorizia, Como e per città di frontiera come Bolzano e Ventimiglia. Sono circa 10 mila le persone escluse dall’accoglienza, in prevalenza richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale e umanitaria. È quanto emerge dalla seconda edizione del Rapporto «Fuori campo» di Medici Senza Frontiere, che traccia una mappa dei migranti esclusi dal sistema di accoglienza, frutto di un monitoraggio costante compiuto nel 2016 e nel 2017 in una cinquantina di insediamenti informali sparsi in 12 regioni italiane.

“Più della metà senza acqua potabile”

«Oltre la metà di queste persone, circa il 55%, vive in dei luoghi dove non c’è un punto d’acqua potabile né l’energia elettrica», ha spiegato il direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia, Gabriele Eminente, alla presentazione del Rapporto che si tiene questa mattina a Roma. «Sono persone che si scaldano con quello che possono e che hanno un enorme problema di accesso alle cure», ha aggiunto Eminente precisando che «magari sono persone che hanno un lavoro, nei bar, nei mercati o nei ristoranti delle nostre città, ma che poi sono costrette a vivere in quelle condizioni perché non hanno una abitazione».

Chi sono e dove abitano

Si tratta di persone di varia provenienza, dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa, ma anche da Siria, Iraq, Pakistan, Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni. In alcuni siti, ci sono anche italiani a condividere le condizioni dei migranti. I siti informali sono edifici abbandonati o occupati (53%), luoghi all’aperto (28%), tende (9%), baracche (4%), casolari (4%), container (2%). Undici di questi si trovano nel Lazio, sette in Puglia, sei in Sicilia, cinque in Calabria e in Piemonte. Il 53% è abitato soltanto da uomini adulti, il 13% da uomini e donne adulte, il 34% da adulti con minori. In 17 insediamenti è stata riscontrata la presenza di minori al di sotto dei 5 anni.

Il “Passo della morte”

Dalla fine del 2016 più di venti persone sono morte nel tentativo di lasciare l’Italia, varcando la frontiera per arrivare in Francia, Svizzera o Austria. Quindici sono decedute solo al confine con la Francia. «Molti – viene precisato – hanno perduto la vita sulle montagne, lungo il cosiddetto “Passo della morte”, usato nel passato da ebrei in fuga, partigiani e contrabbandieri».

Il caso Ventimiglia

Medici Senza Frontiere spiega, inoltre, di avere intervistato 287 adulti migranti a Ventimiglia tra il 28 agosto e il 14 settembre 2017: 131 hanno dichiarato di aver provato ad attraversare il confine con la Francia. Il 23,6% di chi ha tentato il passaggio del confine ha dichiarato di aver subito almeno un atto di violenza da parte di uomini in uniforme, italiani o francesi.

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La Repubblica | 08.02.2018

Migranti e rifugiati, i diecimila invisibili che vivono nelle baraccopoli

Sono regolari in Italia, ma esclusi dall’accoglienza. Abitano in tendopoli, palazzi abbandonati, container, spesso senza luce né acqua. Tra loro, in 47 ghetti da Torino a Foggia, ci sono molti bambini. A raccontarli con numeri e storie il rapporto „Fuori Campo“ di Medici senza frontiere

di ALESSANDRA ZINITI

ROMA – Diecimila persone, tra richiedenti asilo e rifugiati, uscite fuori dal circuito dell’accoglienza e finite a vivere in veri e propri ghetti da una parte all’altra della penisola: da Roma a Torino, da Foggia a Gorizia a Bolzano, passando per città di frontiera come Ventimiglia. È il censimento contenuto nel secondo rapporto „Fuori Campo. Migranti e rifugiati in Italia“ redatto da Medici Senza Frontiere, che ha visitato una cinquantina di insediamenti in cui vivono migranti (in attesa della risposta sulla domanda di asilo, o che hanno già ottenuto la protezione) provenienti dalle zone del mondo più diverse. Persone alle quali, una volta concesso il permesso di soggiorno, non è più garantita accoglienza. O richiedenti asilo che non hanno trovato posto nei centri dedicati.

Cinquemila persone in edifici abbandonati. Vivono in palazzi occupati nelle grandi città, baraccopoli nelle campagne, nuclei familiari con bambini senza alcun servizio socio-sanitario e spesso costretti a vagare da un ghetto all’altro quando intervengono gli sgomberi forzati. Sono circa cinquemila le persone che vivono in edifici abbandonati e occupati, solo la metà di questi con acqua e luce. Il resto vive in condizioni di grave marginalità in luoghi all’aperto, tende, baracche, casolari e container. In ben 17 dei 47 insediamenti informali visitati da Medici senza frontiere ci sono bambini al di sotto dei 5 anni. In molti di questi insediamenti, stranieri e italiani condividono le stesse difficili condizioni di vulnerabilità.

Gli esempi di Torino e Roma. Diverso l’approccio delle amministrazioni locali nei confronti di quelle che, nella maggior parte dei casi, vengono vissute come vere bombe sociali. A Torino, ad esempio, in un edificio di proprietà dei Missionari della Madonna de la Salette, vivono circa ottanta rifugiati, che hanno ristrutturato lo stabile che gestiscono trasformandolo in un modello di housing sociale. Così come nelle palazzine occupate dell’Ex Moi, l’Azienda sanitaria locale di Torino ha sottoscritto un protocollo d’intesa con Msf per facilitare l’accesso ai servizi sanitari pubblici delle circa mille persone che vi abitano. Anche a Roma, l’Azienda sanitaria locale ha attivato programmi di medicina generale, con unità mobili vicino ai principali insediamenti.

La mappatura della vulnerabilità. „Dopo due anni – dice Giuseppe De Mola, curatore del rapporto – Fuori Campo si conferma una triste mappatura della vulnerabilità e dell’emarginazione sociale cui sono costrette migliaia di uomini, donne e bambini che avrebbero diritto ad accoglienza e protezione, mentre oggi non hanno nemmeno un riparo decoroso, cibo sufficiente, l’accesso a cure essenziali“. Msf rileva che, rispetto alla prima edizione del rapporto, nel 2015, i recenti sgomberi forzati che si sono susseguiti in alcune città senza che siano state predisposte soluzioni abitative alternative stanno determinando la frammentazione degli insediamenti. I migranti vivono così in luoghi sempre più marginali senza poter accedere ai beni elementari come acqua, cibo, elettricità.

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Internazionale | 08.02.2018

Fuori campo, perché i migranti finiscono nei ghetti

Annalisa Camilli

Non c’è nemmeno l’elettricità nella baracca che si è costruito con le sue mani. Mike ha messo una catena con un lucchetto per tenere chiusa la porta quando si allontana dalla sua stanza due metri per tre fatta di tavole, coperte e cartoni. “Non ho niente che si possa rubare e in fondo non me ne importa niente, entrino pure”, dice amareggiato in un perfetto inglese.

È nigeriano, ha 23 anni, è arrivato dalla Libia in Italia due anni fa, è stato trasferito in un centro di accoglienza in Sardegna, ma è scappato perché voleva raggiungere degli amici a Roma per lavorare. Nella capitale non ha trovato quello che sperava: un lavoro e una casa. Sta aspettando che la sua richiesta di asilo sia esaminata, ma intanto ha perso ogni diritto all’accoglienza, perché si è allontanato per più di tre giorni dal centro. Così è finito a vivere in una fabbrica abbandonata lungo via Tiburtina.

Nella struttura alloggiano 150 persone: il doppio rispetto a giugno del 2017 quando un altro capannone abbandonato della zona è stato sgomberato dalla polizia. Quello che sarebbe dovuto essere il distretto industriale di Roma, sulla via Tiburtina, si è trasformato in un quartiere fantasma tra sale giochi, cantieri stradali e capannoni abbandonati come quelli dell’ex fabbrica di penicillina Leo.

Espulsi dalla città

Decine di edifici industriali sono diventati un rifugio per le famiglie e le persone sole che hanno perso la casa o non ne hanno mai avuta una: c’è la tendopoli del Baobab in un parcheggio dietro alla stazione Tiburtina, c’è l’occupazione dell’ex sede del quotidiano La Stampa, quella di “palazzo Sudan”, e poi Tor Cervara, via Vannina, via Fabio Costi. Una città ai margini della città, una dimensione invisibile di baracche e stamberghe senza elettricità, senza riscaldamento e senza servizi igienici. Gli sgomberi avvenuti negli ultimi mesi hanno aggravato la situazione, costringendo molte persone rimaste senza casa a trovare rifugio nelle altre occupazioni già affollate.

Mike aveva saputo da alcuni amici che nella periferia orientale di Roma, oltre il carcere di Rebibbia – tra l’Aniene e il Grande raccordo anulare – avrebbe potuto trovare un letto per dormire. Quando è arrivato non riusciva a credere ai suoi occhi: un palazzo fatiscente su due piani, piccole costruzioni di fortuna – una a fianco all’altra all’interno dell’edificio – e sul retro un’enorme discarica abitata da topi enormi. Una scala esterna porta al secondo piano dove si apre un altro ambiente. Le costruzioni di legno si avvicendano in un serpentone, alla fine si apre uno spazio comune usato per cucinare e mangiare, dove ci sono un tavolo, delle sedie e perfino un divano.

Anche farsi da mangiare non è facile, perché i fornelli funzionano solo con le bombole del gas, così gli abitanti dell’occupazione si sono organizzati in una specie di gestione collettiva. Alcuni cucinano e distribuiscono i pasti a tutti gli altri. C’è anche un piccolo negozio al secondo piano che vende i beni di prima necessità, perché i negozi più vicini sono a qualche chilometro di distanza. Mike viene da una famiglia del ceto medio dello stato nigeriano del Delta, dove faceva il musicista. Dopo un passaggio traumatico in Libia è arrivato in Italia via mare, sperando di ricominciare la sua vita e poter studiare e lavorare. Ma ora, se potesse, tornerebbe indietro.

“Non trovo nemmeno una cosa positiva in questo paese, se solo ottenessi i documenti me ne andrei”, afferma. Tuttavia anche tornare indietro non è facile, non ha i soldi per l’aereo e ha paura di non trovare niente di quello che ha lasciato. Le giornate passano tutte uguali: al piano terra nell’enorme stanzone circondato dalle baracche alcuni ragazzi hanno acceso un fuoco per riscaldarsi, la fuliggine e l’odore di fumo annebbia tutto. Una radio trasmette musica reggae. “A volte piango da solo nella mia stanza perché non vedo un futuro”, dice Mike.

Il fallimento dell’accoglienza

Da novembre del 2017 l’edificio è presidiato da un équipe di Medici senza frontiere (Msf) che arriva con un camper una volta ogni quindici giorni. “Abbiamo fatto diverse visite perché volevamo sapere se le persone hanno accesso ai servizi sanitari”, spiega Ahmad al Rousan, coordinatore del progetto. “Abbiamo capito che molti di loro non sanno di avere diritto all’assistenza sanitaria. Per esempio abbiamo avuto un ragazzo che si è completamente ustionato e non è andato al pronto soccorso nonostante le ustioni gravissime”, continua. “Oltre a questo edificio, stiamo monitorando tutto il territorio cittadino e a Roma stiamo documentando delle situazioni davvero critiche, dei veri e propri ghetti”, spiega Al Rousan.

Nel rapporto Fuori campo pubblicato l’8 febbraio, Msf denuncia una situazione diffusa di cattiva accoglienza in Italia che favorisce la nascita di ghetti e di aree disagiate in maniera capillare su tutto il territorio nazionale, sia in contesti urbani sia in quelli rurali. Secondo il rapporto, sono diecimila le persone che vivono in queste condizioni con “limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche”. Gli insediamenti informali sono 47 in dodici regioni, e il 55 per cento di queste aree non ha accesso ai servizi. Inoltre i siti informali sono edifici abbandonati o occupati (53 per cento), luoghi all’aperto (28 per cento), tende (9 per cento), baracche (4 per cento), casolari (4 per cento), container (2 per cento). Questa situazione è in parte dovuta a un sistema di accoglienza ancora fondato “su strutture di accoglienza straordinaria, con scarsi servizi finalizzati all’inclusione sociale”.

Al livello legislativo, inoltre, Medici senza frontiere denuncia un processo in atto che tende a rendere l’accoglienza nei centri sempre più una concessione e non un diritto. “Tra aprile e luglio 2016 la Commissione europea ha presentato un intero pacchetto di proposte di riforma del sistema di protezione internazionale dell’Unione tese a rimodellare ogni aspetto della procedura di accoglienza”, scrive Msf nel rapporto. Per esempio l’accoglienza può essere ridotta o revocata se i richiedenti asilo non rispettano le regole del centro a cui sono stati assegnati.
“Già ora tra le persone che vivono in queste condizioni ce ne sono molte che sono state mandate via dai centri di accoglienza per futili motivi”, continua Al Rousan. L’espulsione dai centri alimenta una specie di circuito parallelo di insediamenti informali che ha dei fulcri storici nella penisola: i ghetti pugliesi della Capitanata e quelli calabresi, la provincia di Caserta, gli edifici occupati di Roma, a cui dal 2016 si sono aggiunti gli insediamenti informali sorti vicino alle aree di frontiera come Ventimiglia, Como, il Brennero, Udine e Gorizia.

Chi non ce la fa a passare la frontiera torna negli insediamenti informali, spesso spostandosi da una città all’altra in cerca di un lavoro. Nell’ottobre del 2017 il ministero dell’interno ha varato il Piano nazionale integrazione, che contiene indicazioni generali sulla questione abitativa dei richiedenti asilo e dei rifugiati, ma non prevede lo stanziamento di risorse specifiche per favorire l’inclusione sociale.

Il problema della residenza

A Roma sono state censite più di cento occupazioni, alcune sono organizzate dai diversi movimenti di lotta per la casa. In questi insediamenti vivono almeno 600 richiedenti asilo e rifugiati, pari al 20 per cento degli occupanti, secondo il rapporto di Msf. Soprattutto negli ultimi cinque anni, le occupazioni hanno svolto un ruolo di decompressione rispetto alla carenza di posti nel sistema di accoglienza. Nelle occupazioni, italiani e stranieri spesso convivono e condividono gli stessi problemi.

Nell’ex sede dell’Inpdap occupata nel 2012, vivono circa 400 persone, tra le quali un centinaio di richiedenti o titolari di protezione internazionale. Tra i residenti ci sono anche italiani. Le attività all’interno dell’edificio comprendono uno sportello di orientamento legale, corsi di italiano, laboratori di falegnameria, serigrafia e corsi di teatro in collaborazione con scuole del quartiere. Gli occupanti hanno anche sviluppato un progetto di accoglienza temporanea – dai 3 ai 12 mesi – che coinvolge quasi esclusivamente richiedenti asilo e rifugiati (dodici in tutto) inseriti in specifici percorsi di integrazione sociale, come corsi di formazione professionale.

Anche nella ex sede dell’Inps di viale delle Province, occupata nel 2012, tra i circa 500 occupanti vivono poco meno di cento tra richiedenti asilo e titolari di protezione. Insieme a palazzo Selam e a palazzo Naznet – le due occupazioni storiche di rifugiati provenienti dall’Eritrea e dal resto del corno d’Africa, la cui popolazione si è ulteriormente ingrandita dopo lo sgombero di piazza Indipendenza dell’agosto 2017 – l’edificio è inserito nella lista dei siti da sgomberare in via prioritaria inclusa nella delibera numero 50 del 2016 dell’ex commissario straordinario Tronca.

Nel “palazzo Sudan” vivono un centinaio di rifugiati sudanesi, che erano stati sgomberati dall’”hotel Africa”, un altro insediamento informale vicino alla stazione Tiburtina. La struttura è stata finanziata nel corso degli anni da programmi di accoglienza pubblici. Quando sono finiti i fondi, i rifugiati sono rimasti nella palazzina senza alcuna forma di intervento dello stato. Negli ultimi mesi, la fornitura di gas è stata tagliata e l’erogazione di energia elettrica ridotta.

“La cronica carenza di posti in accoglienza e gli sgomberi in assenza di soluzioni abitative alternative stanno determinando il moltiplicarsi di insediamenti spontanei, in edifici abbandonati lontani dal centro, dove l’invisibilità si accompagna a condizioni di vita di assoluto degrado, con uomini, donne e minori che non riescono ad accedere ai beni più elementari”, scrive il rapporto. Uno dei problemi principali è la difficoltà a ottenere la residenza anagrafica in base al cosiddetto decreto Lupi (il decreto legge 47 del 2014) sull’emergenza abitativa. La mancanza di questo requisito implica la difficoltà ad accedere a molti servizi di base come le cure mediche presso il servizio sanitario nazionale.

Dal marzo del 2017, l’amministrazione comunale di Roma ha deciso di usare la residenza anagrafica fittizia di via Modesta Valenti, già usata per i senza dimora, anche per i migranti presenti negli insediamenti informali. Ma il rapporto Fuori campo di Msf denuncia che l’applicazione della delibera resta discrezionale e non funziona allo stesso modo in tutti i municipi della città. “Le principali differenze riguardano non solo i tempi per il rilascio della residenza, ma anche le modalità di accesso e l’elenco dei documenti richiesti”. Di recente la questura di Roma ha cominciato chiedere la residenza per il rinnovo del permesso di soggiorno, provocando una situazione in cui i migranti rimangono ingabbiati nella burocrazia, senza possibilità di riuscire a ottenere nessuno dei due documenti.

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