18. Dezember 2015 · Kommentare deaktiviert für Europäische Kommission: Hotspots in Italien · Kategorien: Europa, Italien · Tags:

Quelle: Statewatch

Progress Report on the Implementation of the hotspots in Italy

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siehe auch: MeridioNews

Lampedusa, il primo hotspot voluto dall’Europa

«Migranti in strada, situazione igienica al collasso»

Cronaca – Decine di cittadini eritrei stanno protestando per le vie dell’isola. A darne notizia è il collettivo Askavusa: «Il motivo è sempre lo stesso – dichiarano -. Non vogliono essere identificate perché non vogliono rimanere in Italia». Nel frattempo, sott’accusa la situazione sanitaria nel centro. Guarda le foto

di Simone Olivelli

Nuove proteste dei migranti, stamattina, a Lampedusa. A darne notizia è il collettivo Askavusa: «Il motivo è sempre lo stesso – dichiara Giacomo Sferlazzo, uno gli attivisti -. Queste persone non vogliono essere identificate perché non vogliono rimanere in Italia». I manifestanti, infatti, sono tutti ospiti dell’hotspot che negli scorsi mesi ha aperto sull’isola. I nuovi centri, nelle intenzioni dell’Unione europea, dovrebbero servire all’identificazione dei migranti, così da consentire di definire quali tra essi – fondamentale, in tal senso, è la nazionalità – possano rientrare nelle quote di ridistribuzione, che l’Ue ha previsto nel tentativo di ripartire il peso del fenomeno migratorio tra i vari paesi.

hotspot

Cittadini eritrei protestano contro l’identificazione

A beneficiare della possibilità di lasciare l’Italia – in virtù delle particolari situazioni socio-politiche che caratterizzano i territori di provenienza – sono solo siriani ed eritrei. E sono proprio originari dell’Eritrea i migranti scesi in strada quest’oggi. Il dato, tuttavia, non stupisce il collettivo Askavusa: «Il fatto che siano eritrei c’entra poco – continua Sferlazzo – in quanto non è scontato che tutti potranno trasferirsi in un altro paese. Le quote di ridistribuzione hanno soglie limitate, superate le quali i migranti sarebbero costretti a rimanere in Italia».

A far discutere, intanto, sono però le condizioni in cui i migranti sono costretti a vivere. Come dimostrato dalle fotografie pubblicate sul blog del collettivo: «La situazione igienico-sanitaria è al collasso – accusa l’attivista -. Si vedono persone dormire a cielo aperto, bagni sudici e un livello generale di incuria che fanno capire come il progetto hotspot sia fallito ancor prima di nascere». Per Askavusa, il problema sta all’origine: «Le istituzioni non fanno altro che ragionare su come gestire il fenomeno migratorio, salvo poi agire in maniera scientifica per alimentarlo. Il riferimento – aggiunge Sferlazzo – è agli ultimi venti di guerra. Ci si prepara, con molta probabilità, a una nuova azione in Libia che automaticamente darà vita a nuovi flussi migratori». Un sistema su cui, come dimostrato a più riprese dalle notizia di cronaca, il malaffare ha più volte mostrato interesse: «Neanche Lampedusa è esente da questo genere di appetiti. Ci sono motivi più che fondati per pensare che anche all’interno dell’hotspot si verifichino comportamenti riprovevoli. Quali? Prossimamente li renderemo noti» conclude l’attivista.

Sugli hotspot e l’esigenza di aprire anche gli altri in programma – Pozzallo, Porto Empedocle, Augusta e Trapani – si è espressa negli scorsi giorni l’Unione europea. Da Bruxelles, in particolare, è stato sottolineato come l’identificazione dei migranti, e nello specifico la registrazione delle impronte digitali, debba essere fatta senza se e senza ma. «Anche con l’uso della forza». A riguardo il deputato di Sinistra italiana Erasmo Palazzotto si esprime con durezza: «Il rifiuto dell’identificazione è dettato dalla certezza di dover restare in Italia, effetto contorto dell’antistorico e anacronistico trattato di Dublino. I migranti sanno bene che la procedura dell’identificazione impedirebbe di proseguire il proprio viaggio verso i paesi europei dove risiedono grandi comunità e, spesso, le loro famiglie», dichiara Palazzotto, che è componente dell’ufficio di presidenza della commissione parlamentare sul sistema di accoglienza. Da parte del deputato, poi, un attacco alle politiche di ridistribuzione dei migranti tra i paesi europei: «La stessa Ue ne ammette il fallimento».

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siehe auch: L’Espresso

Gli hotspot europei come i vecchi Cie italiani

L’apertura di strutture per identificare e raccogliere le impronte digitali dei migranti doveva essere la soluzione della Ue alla crescente pressione degli sbarchi. Dentro si registrano però gravi violazioni dei diritti umani, interviste sommarie a persone ancora sotto shock. E decreti di espulsione che condanno alla clandestinità

di Michele Sasso

Nel 2015 un milione e mezzo di migranti si sono messi in viaggio verso l’Europa. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) 365mila persone hanno attraversato il Mediterraneo, 2.800 sono morte durante la traversata.

Molti di loro sono profughi che scappano dalle guerre nel Medio Oriente e in Africa, e da dittature come quella di Isaias Afewerki in Eritrea. Sotto questa pressione le istituzioni europee hanno reagito in modo allarmistico di fronte agli arrivi che hanno messo in luce l’impreparazione e la mancanza di una strategia comune per affrontare le migrazioni interne ed esterne ai confini dell’Unione.

A maggio con l’onda umana alle porte la commissione ha varato nuove politiche di immigrazione: così è nata l’idea degli hotspot, i rimpatri e la ricollocazione dei migranti su base europea.

Cuore della nuova politica comune sono proprio gli hotspot, le strutture allestite per identificare, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti. In pratica centri dove concentrare la prima accoglienza e fare un primo screening per valutare se sono persone che hanno diritto alla protezione internazionale o se si tratti di migranti economici. Per questa seconda casistica scatta un sistema rapido per i rimpatri.

Strutture che il Financial Times definisce “campi profughi temporanei”, in cui accogliere, e in caso di resistenza trattenere, i migranti in attesa di stabilire se siano candidabili al ricollocamento, al rimpatrio, o alla domanda di asilo nel primo Paese di ingresso.

Sei mesi dopo si scopre che Bruxelles chiede all’Italia «un’accelerazione» nel «dare cornice legale alle attività di hotspot, in particolare per permettere l’uso della forza per la raccolta delle impronte e prevedere di trattenere più a lungo i migranti che oppongono resistenza».

«Uso della forza» e «resistenza» che le onlus italiane Oxfam, Asgi e A Buon Diritto denunciano come «gravi violazioni dei diritti dei migranti».

Privazione della libertà personale di chi sbarca, divieto di uscire dal centro senza nessun intervento da parte di un giudice, come imporrebbe la legge. E ancora: interviste sommarie per distinguere tra richiedenti protezione internazionale e migranti economici effettuate dalle forze di polizia a persone ancora sotto shock a causa del lungo viaggio e dei pericoli affrontati.

Nessuna informazione circa la possibilità di richiedere protezione internazionale, diritto previsto dalla normativa per chi arriva sulle nostre coste spesso sfuggendo a situazioni di conflitti e violenza.

Così vengono cacciati, senza nemmeno ascoltare le loro ragioni. Senza neppure provare a verificare se scappano da guerre, dittature, persecuzioni religiose. Per le leggi internazionali andrebbero accolti, in attesa di verificare le loro dichiarazioni. Invece con un foglio in mano vengono esclusi dall’accoglienza ufficiale e costretti all’illegalità.

La logica è quella dei vecchi Centri di identificazione ed espulsione (Cie) con l’accoglienza che si trasforma in affare per pochi con numeri gonfiati, ingiusti profitti, ospiti costretti a vivere in condizioni inaccettabili, come raccontato da “l’Espresso” in numerose inchieste.

Sono tutte irregolarità denunciate e finite in una interrogazione parlamentare di Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, che punta il dito contro il centro di prima accoglienza di Pozzallo (Ragusa), identificato come uno dei nuovi “hotspot” voluti dall’Unione Europea.

Nella ex dogana situata a ridosso del molo dove vengono fatti sbarcare i migranti le associazioni che lavorano sul territorio, nonché un recente report di Medici Senza Frontiere (Msf), hanno denunciato che non siano fornite le informazioni necessarie per poter avanzare richiesta di protezione internazionale e sia impedito di uscire dalla struttura.

«La nuova procedura hotspot, che prevede il rafforzamento delle operazioni di identificazione e registrazione dei migranti tramite l’affiancamento di funzionari dell’Unione Europea accanto alle nostre forze di polizia, di fatto lede il diritto di chiedere protezione internazionale, non è prevista dalle norme comunitarie ed è certamente contraria a quelle nazionali» afferma Lorenzo Trucco, presidente dell’Asgi.

Così in centinaia finiscono nel meccanismo dei cosiddetti “respingimenti differiti”: persone sbarcate sulle coste siciliane, spesso ancora traumatizzate dal viaggio e da quanto vissuto in Libia, sottoposte a sommarie interviste di cui non comprendono la finalità e con domande molto soggettive. Al termine ricevono un decreto di espulsione senza che la loro situazione individuale venga minimamente presa in considerazione.

Ancora più tranchant l’avvocato di Asgi Salvatore Fachile:«Il Cie ha sempre assolto a una funzione del tutto diversa: trattenere i cittadini stranieri non regolari allo scopo di effettuarne l’espulsione. In questi casi, il trattenimento della persona è previsto e regolamentato da una norma, seppur opinabile. Invece, negli hotspot, le persone vengono trattenute allo scopo di essere identificate, ma questo trattenimento non è previsto dalle norme italiane nè da norme europee. La detenzione amministrativa, senza cioè un controllo della autorità giudiziaria, è una pratica antidemocratica, così come lo sarebbe l’uso della forza fisica al fine di prelevare le impronte».

Una pratica decisa per contrastare chi tenta di sfuggire alla registrazione: secondo il Viminale sui 140mila stranieri sbarcati nei primi dieci mesi del 2015, quarantamila hanno rifiutato di sottoporsi alle procedure, soprattutto siriani ed eritrei che vogliono richiedere asilo in altri paesi come Germania e Svezia.

Mentre per altre migranti di serie B, come i nigeriani, vengono spinti a firmare un foglio notizie dove c’è scritto che vengono in Italia per lavorare.

E in automatico diventano irregolari da mettere su un aereo subito, se ci sono fondi e personale, e in caso contrario escluderli dal sistema ufficiale di accoglienza. E di fatto condannarli alla vita in strada.

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