04. Oktober 2013 · Kommentare deaktiviert für Lampedusa: „Europa, gegründet auf Gewalt“ (Alessandra Sciurba) · Kategorien: Italien, Libyen · Tags: ,

Lampedusa – Oggi nessuno osa chiamarli clandestini. L’Europa, l’Italia e un decennio di politiche fondate sulla violenza
di Alessandra Sciurba

http://www.globalproject.info/it/in_movimento/lampedusa

È arrivato definitivamente il momento. L’apertura di un corridoio umanitario, così come chiesto dall’appello, promosso da Melting Pot e firmato da tantissime realtà italiane, che in queste ore sta facendo il giro d’Italia, rappresenta il minimo del minimo di ciò che si dovrebbe fare.
Ma l’appello non parla assolutamente lo stesso linguaggio di chi, dalla politica istituzionale, usa la stessa espressione.

Più di qualcuno, nella seduta parlamentare odierna, ha parlato di “dare risposta alle necessità dell’accoglienza in quei luoghi da cui le persone fuggono”, appellandosi in questo senso al bisogno di aprire un “corridoio umanitario”. Questo significherebbe, però, e chi lo dice da parte governativa non può che essere cosciente della propria ipocrisia, avanzare in quella prassi criminale dell’esternalizzazione dell’asilo che fino ad ora ha prodotto solo morte quanto e più dei cosiddetti “viaggi della speranza”.

Quella dell’esternalizzazione della “gestione” dei profughi, ovvero della sua delega ai paesi considerati “terzi sicuri” in prossimità delle zone di guerra o di violenza generalizzata, è una politica che l’Unione europea, a intervalli, cerca di promuovere almeno dalla fine degli anni Novanta. È una politica che ancora una volta mette davanti all’urgenza di tutelare le persone e i loro diritti, quella di controllare le frontiere esterne del continente. È una politica che per anni ha permesso di dichiarare la Libia, la Tunisia o l’Egitto come “paesi terzi sicuri”, anche quando erano retti da dittatori che, quando è convenuto, sono stati tacciati di essere dei criminali contro l’umanità.

Per questo, l’appello chiede l’apertura di canali umanitari “fino” all’Europa, esigendo un’inversione di tendenza prima di tutto culturale verso le migrazioni. Ciò significherebbe, innanzitutto, abrogare quella Convenzione di Dublino che gioca a domino con la vita dei profughi, ma anche rivedere le leggi nazionali dell’Europa, a cominciare dall’italiana Bossi-Fini, che tutto tiene in conto tranne la dignità dei migranti.

Qualche mese fa, su questo stesso sito, parlavamo dell’Unione europea, delle sue politiche di immigrazione e asilo a senso unico scrivendo che “La gestione istituzionale del diritto d’asilo interroga profondamente le realtà politiche circa i principi che vengono posti alla base del loro agire. Essa misura la qualità delle democrazie occidentali, che si arrogano la facoltà “umanitaria” di muovere azioni di guerra in nome dei diritti umani, sacrificandoli però costantemente, sull’altare della sicurezza o della scarsità di risorse economiche, all’interno dei loro territori”.

Nello stesso articolo sottolineavamo come il numero di profughi che raggiunge l’Italia ogni anno dal mare sia meno del 15% del numero complessivo dei migranti che fanno ingresso sul territorio in altri modi. Che più dell’80% dei rifugiati del pianeta sono accolti da paesi confinanti dei vari Sud del mondo, che l’Italia ha un numero di richieste di asilo molto ridotto se confrontata ad altri paesi europei come la Francia o la Germania, che la solidarietà tra membri Ue in tema di immigrazione e asilo non può continuare a manifestarsi soltanto nel gioco del rimpallo di responsabilità dall’uno all’altro nei momenti di “emergenza” (come dopo le primavere arabe) o di condivisione dell’approccio militare verso i migranti. Concludevamo dicendo che “Ridefinire senza ipocrisie i criteri della solidarietà europea in tema d’asilo, spogliandola dalla logica esclusiva del “burden sharing” e arginando le speculazioni economiche e propagandistiche che troppo spesso accompagnano e orientano l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, significherebbe inoltre, nel caso dell’Unione, ripensare anche la qualità politica dell’Unione stessa, e la veridicità del suo proclamato fondarsi, anche in tempo di crisi, sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani”.
Fare oggi il conto delle responsabilità è importante, e non solo perché sarebbe giusto, qualche volta, che chi contribuisce a causare la morte di migliaia di migliaia di persone venga individuato come responsabile di fronte al mondo, in modo almeno da non avere più la possibilità di farlo ancora, ma soprattutto perché, a partire dall’identificazione delle responsabilità, è possibile provare a capire la strada migliore per trovare delle soluzioni reali.

E quindi partiamo dall’inizio.
Il primo dato, quello che deve essere indiscutibile, è che nessuno deve più morire cercando di raggiungere l’Europa. Che è cosa diversa dal dire: Nessuno deve più morire davanti ai nostri occhi.
E allora taccia la Lega Nord, ora e per sempre. Perché non è più possibile essere costretti ad ascoltare le sue infamie, le sue indecenze, la sua ignoranza colpevole, la sua ferocia gretta.
Si è sentito dire, in questi due giorni, che “ai tempi di Maroni il problema era risolto perché nessuno arrivava e nessuno moriva, grazie ai respingimenti”.
Ebbene, I respingimenti sono stati il più grande crimine di stato commesso dall’Italia dopo l’epoca fascista.
Migliaia di persone, uguali a quelle che sono morte ieri a Lampedusa, ugualmente bambini e donne e uomini venuti da guerre e violenze da cui stavano cercando di scappare, sono stati fermati in mezzo al mare, ingannati e ricondotti indietro. Poi consegnati nelle mani dei carcerieri libici di Gheddafi e da lì messi a morire nelle carceri pagate coi soldi italiani, o ributtati nel deserto di sabbia, che è l’altro cimitero delle migrazioni. E chi è sopravvissuto a stento, è poi morto durante la guerra di Libia, nell’olocausto dei migranti subsahariani considerati tutti, lo ricorderete, oppositori o dei ribelli o della dittatura morente. Oppure di nuovo per mare, a morire lo stesso, fino a ieri. E chissà quante persone tra quelle andate a picco, annegate, bruciate vive, avevano già cercato di raggiungere questa terra.
E se la Corte europea dei diritti umani ha imposto all’Italia di fermarsi con questo scempio di vite, condannando i respingimenti di Maroni – bisognerebbe dirlo all’Onorevole Stefania Prestigiacomo che ieri sera a Porta a Porta distingueva le retoriche razziste della Lega dalle prassi ragionevoli ed equilibrate che hanno seguito quando erano al governo – centinaia di respingimenti, tutti i giorni, continuano dai nostri porti dell’Adriatico verso la Grecia.

E se da altre frontiere non è possibile passare, si cercheranno altre vie, a tutti i costi.
Immaginate di essere una madre o un padre con i vostri bambini sotto i fuochi di una guerra che non smette da decenni o che è appena cominciata senza che se ne veda la fine.
Restare significa morire quasi sicuramente.
Partire significa avere una possibilità di salvare la vita dei vostri figli. Di quelli nati, di quelli che sono in grembo.
Cosa fareste, voi?
Cosa farebbe uno qualunque dei “militanti” della Lega Nord davanti a chi, dopo che hai percorso migliaia di chilometri a piedi o tra le mani dei trafficanti, dopo essere stato stuprato e umiliato, ti respinge semplicemente al mittente perché l’unica cosa importante è che tu non gli venga a morire davanti, compromettendo i suoi racconti colpevolmente paranoici che narrano di un’immigrazione criminale e pericolosa?
Pericolosa per chi? Per la nostra economia che senza i migranti colerebbe a picco? Per le nostre famiglie che senza il lavoro servile, a volte neoschiavistico delle donne venute da lontano non avrebbero dove lasciare i loro vecchi?

E ditelo finalmente, senza più mezzi termini, che solo a questo servono leggi come la Bossi-Fini. A immettere nel mercato del lavoro persone per sempre inferiorizzate, a diritti ridotti, da sfruttare perché i nostri tenori di vita, anche in tempo di crisi, non subiscano ribassi troppo significativi.
Per entrare in Italia devi già avere un contratto di lavoro. Cosa significa questo se non un invito alla clandestinizzazione dei migranti e all’illegalità per chiunque li assuma?
Cosa significa questo, se non un regalo alle organizzazioni che trafficano uomini e donne attraverso le frontiere?
Maroni, Salvini, o chiunque per voi, ma davvero assumereste per “badare” a vostra madre una donna che non avete mai visto in faccia prima? E come pensate che siano arrivate quel milione e mezzo di “badanti” che magari sono state poi regolarizzate con una sanatoria, ma dopo anni che lavoravano casa di tre milioni di famiglie italiane?

E solo per perpetrare queste ipocrisie e lasciare che milioni di migranti entrassero in Italia e qui vi lavorassero e contribuissero allo sviluppo economico e demografico del paese, ma portandosi il marchio della “clandestinità” ed essendo sempre ricattabili, si è gridato all’assalto, all’invasione, alle ondate e alle maree di quegli altri migranti, quelli che arrivano dal mare, quelli che oggi tutti piangono.
Tutte persone che hanno diritto all’asilo o ad altre forme di protezione umanitaria. Tutte persone che costerebbero a questo paese e sarebbe meno facilmente sfruttabili. Tutte persone criminalizzate costantemente negli anni, usando la loro immagine per fomentare le paure di un paese in crisi e creare il capro espiatorio di fronte a problemi che la politica non vuole risolvere, come l’impoverimento di tante famiglie e la precarietà esistenziale di noi tutti, che nulla hanno a che fare con le migrazioni verso l’Italia.

Sulla loro pelle, letteralmente, si è costruita la legittimazione popolare di leggi che riducono esseri umani a non-persone; sulla loro pelle è stata fatta passare la costante ricattabilità su base razzista come un principio equo di riforma del mercato del lavoro.
Sullo spettacolo della frontiera di Lampedusa si è costruito il consenso per varare pacchetti sicurezza come quello del 2009 che, con l’introduzione del “reato di immigrazione clandestina” trasformano senza sosta le vittime in colpevoli.

Dietro la “Lotta all’immigrazione clandestina”, si nasconde da anni, in Italia, una battaglia istituzionale contro la dignità dei migranti tout court, con la conseguenza di alcuni milioni di persone discriminate rispetto all’esercizio di diritti sanciti come universali, persino quello di avere vicino a sé la propria famiglia. Si pensi ad esempio alle norme che rendono estremamente difficoltoso il ricongiungimento familiare, irrigidite con il medesimo pacchetto sicurezza già citato e che contribuiscono non poco a sottolineare la precarietà che si vuole intrinseca alla condizione migrante.

Ma continuiamo nella lista degli orrori.
I superstiti di Lampedusa raccontano che alcune barche li avevano visti e ignorati.
È più facile che, come è successo, siano i turisti a portare in salvo i naufraghi, che non i pescatori che poi si trovano soli a dover fronteggiare accuse surreali, come quelle di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Ricorderete ancora quel che è successo, solo qualche anno fa, ai pescatori tunisini imputati in un processo infinito che gli ha rovinato la vita, per avere soccorso e portato in Italia decine di profughi
Come nel bellissimo film “Terraferma” di Crialese, i pescatori si interrogano, novelli Antigone, tra seguire le leggi della loro umanità e le leggi storiche del mare, o sottomettere il loro senso di pietas alle imposizioni di normative che colpevolizzano la solidarietà e ragionano solo in termini di sicurezza e controllo.
Sicurezza e controllo che sono i principi ispiratori di tutte le leggi italiane ed europee in materia di asilo e immigrazione. Sicurezza e controllo che sono gli obiettivi principali di Frontex, il sistema di controllo esterno dell’Unione europea. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiede che, per non provare più questa “vergogna e questo orrore”, Frontex abbia accesso a tutte le risorse necessarie.
Ma è la sua vocazione militare e di difesa che andrebbe sovvertita. Non servono più soldi, ma si deve riconvertire la destinazione delle risorse esistenti.
Milioni e milioni di euro destinati ai pattugliamenti, per poi lasciare annegare 300 persone a mezzo miglio dalle nostre coste.
Milioni e milioni di euro spesi nei controlli delle frontiere marittime e terrestri e negli inutilissimi e terrificanti centri di identificazione ed espulsione, per poi dire che non ci sono risorse da investire in un’accoglienza degna.

Lascia quasi attoniti chi da anni ed anni combatte insieme ad altri, sempre troppo pochi, contro tutte le ipocrisie di queste leggi e di queste prassi, ascoltare le parole di Papa Francesco, sentirsi minimamente confortati, in tutto questo dolore e in tutta questa rabbia, da un lutto nazionale seppure indetto troppo tardi, immaginare che nelle scuole, oggi, finalmente, si sia parlato di donne e uomini e bambini e che, forse, nessuno abbia osato chiamarli “clandestini”.

E adesso però andiamo avanti. E pretendiamo l’apertura di un canale umanitario vero, fino a noi, convertendo i soldi spesi per militarizzare le frontiere contro queste persone, in fondi per un’accoglienza vera. Aboliamo la legge Bossi-Fini e accettiamo finalmente che non è possibile riprodurre forme di schiavismo post-moderno non pagandone i costi sociali e umani.

E pretendiamo questo dall’Europa, ma cominciando dall’Italia e dai noi stessi: di rifondare politicamente la sua identità su principi diversi da quelli dell’apartheid, della paura, dello sfruttamento che fino ad ora, a parte le misure di austerity e la devastazione dei sistemi di welfare, sembrano essere le uniche cose su cui l’Unione europea ha saputo essere una e unita.

Ci sono voluti corpi straziati, messi in fila, uno dopo l’altro, fino a riempire ogni metro delle banchine di Lampedusa, perché in qualche forma questi discorsi cominciassero finalmente ad avere una cittadinanza.
Ma la strada è lunga e le lacrime di oggi non tutti meriterebbero di poterle piangere.

Non dimentichiamoci che quando, in una notte di settembre del 2010 una motovedetta libica regalata dall’Italia sparò trenta colpi di mitra su un peschereccio di Mazara del Vallo che si trovava in acque internazionali, il Ministro dell’Interno italiano rassicurò l’opinione pubblica dichiarando: “è stato solo un incidente. Pensavano si trattasse di clandestini”. E tutti tirarono un sospiro di sollievo.

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