31. Oktober 2015 · Kommentare deaktiviert für EU-Afrika in La Valletta: Gipfel der Uneinigkeit · Kategorien: Afrika, Europa · Tags:

[EN below]

Quelle: Vita

UE-Africa: La Valletta, il Summit della discordia

di Joshua Massarenti

L’UE e i suoi partner africani si daranno appuntamento l’11 e il 12 novembre a Malta per un Summit sulle migrazioni dagli esiti molto incerti. In esclusiva, Vita.it rivela la bozza d’accordo tra le due parti che prevede un Piano d’azione in cui la lotta contro l’immigrazione irregolare e il rafforzamento dei rimpatri prevalgono sulla mobilità.

L’11 e il 12 novembre, l’Unione Europea e i suoi partner africani si daranno appuntamento a La Valletta per un Summit straordinario sulle migrazioni. A Malta sono attesi capi di stato e di governo di 28 Stati membri UE, 35 paesi africani, rappresentanti dell’Unione Africana, dell’ECOWAS e delle Nazioni Unite. Il Vertice, fortemente voluto da Bruxelles, è chiamato a dimostrare che UE e Africa sono uniti nella volontà di rafforzare il dialogo e la cooperazione euro-africana sulle migrazioni. Concretamente significa combattere il traffico illegale e la tratta dei migranti, migliorare la cooperazione in tema di rimpatri e riammissioni dei migranti irregolari nei paesi africani di origine, promuovere vie di migrazione legali e la mobilità, proteggere i migranti e i richiedenti di asilo e affrontare il problema alla radice sostenendo ogni iniziativa a favore della pace, della stabilità e dello sviluppo sostenibile sul continente africano. Questo per quanto riguarda l’agenda ufficiale.

Dialogo o monologo?

A livello operativo, il Summit di La Valletta è preceduto da una serie di meeting preparatori di alto livello a Bruxelles (18 settembre), Rabat (14 ottobre) e Sharm El Sheikh (oggi). La scelta di queste due città africane non è casuale. Il dialogo avviato dall’UE con i paesi africani sulle migrazioni segue due traiettorie politico-geografiche: il Processo di Rabat lanciato nel luglio 2006 con un focus che si è progressivamente spostato sul Sahel e l’Africa occidentale, e di cui il Marocco ha assunto il ruolo di leader della controparte africana; e il Processo di Khartoum, ufficializzato a Roma nel novembre 2014 dall’UE e una ventina di paesi africani (tra cui Sudan Eritrea, Somalia) per rafforzare la cooperazione tra paesi di origine, di transito e di destinazione, dal Corno d’Africa all’Europa, passando per l’Egitto, che capeggia la delegazione africana.

Proprio in queste ore in Egitto europei e africani si incontrano per l’ultima volta prima del vertice. Alla vigilia di questo incontro tra alti responsabili, Vita.it è entrata in possesso della bozza di accordo che verrà discussa a Sharm El Sheikh. Salvo sorprese, sempre possibili, i punti essenziali dei documenti che potete scaricare in fondo a questo articolo verranno adottati a Malta. Frutto di trattative intense, racchiude sia la dichiarazione finale che un Piano d’azione in cinque punti su cui l’UE e i partner africani stanno provando a raggiungere un accordo definitivo. Ma quanta fatica. Nonostante parole di rassicurazione provenienti da Bruxelles, dalla sponda africana c’è parecchia insoddisfazione.

Contattata da Vita.it, una fonte dell’Unione Africana molto vicina al dossier assicura che “di dialogo se ne vede ben poco, qui è un monologo dell’UE che non fa altro che voler imporre la sua agenda”. E in particolar modo gli Stati membri, alcuni dei quali come l’Austria, la Polonia o la Lituania vorrebbero condizionare gli aiuti allo sviluppo ad uno sforzo reale dei governi africani per accogliere i migranti illegali rimpatriati dall’UE nei loro paesi di origine. E’ la logica del “more for more, less for less” (che tradotto nel contesto di La Valletta potremmo tradurre con: “più aiuti in cambio di maggiori sforzi sui rimpatri, meno aiuti se questi sforzi non vengono forniti”), che viola un principio sacrosanto dei nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile che gli stessi Stati europei hanno sottoscritto in settembre alle Nazioni Unite, secondo il quale gli aiuti non dovrebbero essere condizionabili in circostanze simili. Una violazione che l’Italia era sul punto di commettere lo scorso anno durante la fase preparatoria dell’agenda post-2015 e soprattutto durante la riforma della cooperazione italiana quando il ministro degli Interni Alfano voleva a tutti i costi inserire nella legge 125 un principio di condizionalità degli aiuti italiani alla crisi migratoria, senza riuscirci.

La mobilità, malgrado tutto

La linea politica adottata da parecchi governi europei è quella incentrata sulla necessità di frenare a tutti i costi i flussi migratori provenienti dall’Africa in Africa e di accelerare le misure di rimpatrio. In un bozza precedente datata 26 agosto 2015 e che Vita.it ha in suo possesso, i commenti di alcune diplomazie UE lasciano poco spazio ai dubbi: tante sono le indicazioni a favore dell’approccio “more for more”, del rafforzamento delle politiche di rimpatrio e di riammissione nei paesi di origine o di azioni contro il traffico di migranti e la tratta di esseri umani sul continente africano, per citarne alcune.

A fare da “mediatori” tra gli Stati Membri europei più refrattari e quelli africani coinvolti nel Summit, ci pensano la Commissione europea di Juncker, il Servizio di azione esterna di Federica Mogherini e Pierre Vimont, inviato speciale del Presidente del Consiglio UE, Donald Tusk, per la preparazione del Summit di La Valletta. Il loro lavoro sembra aver dato alcuni frutti. Nonostante la volontà di alcuni Stati membri UE di voler ridimensionare la promozione di canali legali per la migrazione e la mobilità, nell’ultima bozza quest’ultima risulta al secondo punto sui cinque menzionati nel Piano d’azione. “E’ un segnale incoraggiante”, sostiene Anna Knoll, policy officer presso lo European Centre for Development Policy Management (ECDPM), uno dei think tank europei più influenti sulle relazioni UE-Africa. “L’altro segnale positivo riguarda le raccomandazioni e gli impegni che per la prima volta appaiono alla fine di ogni punto del Piano d’azione. Detto questo, questi impegni rimangono ancora troppo generici”. Se non deludenti. Nel caso della mobilità, si parla soltanto di “raddoppiare entro alla fine del 2016 il numero di borse di studio da concedere agli studenti e al corpo accademico africani”, nonché avviare dei progetti pilota che accomunano offerte di migrazione legale (per lavoro, studio, ricerca e formazione professionale) da parte di alcuni Stati membri dell’UE o paesi associati a quelli africani, facilitando di conseguenza il rilascio di visti. “In quest’ultimo caso sorgono delle contraddizioni con i negoziati che l’UE sta ad esempio portando avanti con la Turchia, un paese associato dell’UE e di transito per i migranti”, sottolinea Knoll. “Di recente, Bruxelles ha infatti chiesto ad Ankara di limitare fortemente il rilascio di visti concessi agli africani”, che poi rischiano di approdare nello spazio europeo.

Un accordo e tante contraddizioni

Ma nel dialogo con l’Africa, l’Unione Europea non può limitarsi ad alzare muri alle proprie frontiere. Non a caso, il primo punto riguarda il rafforzamento degli aspetti positivi della migrazione (riducendo ad esempio del 3% entro il 2030 i costi di transazione delle rimesse dei migranti, il cui volume di fondi è ormai superiore agli aiuti allo sviluppo) e la necessità di affrontare le crisi che alimentanto l’immigrazione irregolare e gli spostamenti forzati degli africani (conflitti, povertà, catastrofi climatiche). Con un budget pari a 1,8 miliardi di euro, il nuovo Fondo di emergenza fiduciario per l’Africa mira “a favorire la stabilità sul continente africano e a rafforzare la lotta contro le cause stutturali della migrazione illigale africana”, sostiene Alexandre Polack, portavoce della Commissione Ue con delega allo sviluppo e agli aiuti umanitari. Ma le decisioni adottate questa settimana dal Consiglio europeo degli Esteri (Sviluppo) sul Fondo fiduciario hanno destato molte perplessità nel mondo delle Ong. “Nessuna conferma è infatti giunta dai Ministri dello sviluppo Ue che il Fondo sarà effettivamente usato per progetti di sviluppo, invece che per la sicurezza delle frontiere e per il contenimento della mobilità delle persone”, accusa Oxfam Italia.

Nel punto tre del Piano d’azione, si intende promuovere la protezione delle persone sfollate e dei richiedenti di asilo nei paesi africani, special modo quelli che rimangono intrappolati per anni in campi profughi simili a quello di Dabaab, in Kenya, che oggi accoglie oltre 300mila persone in fuga dalla guerra e dalla povertà, mentre il quarto punto è interamente dedicato alla lotta contro l’immigrazione illegale, la tratta di migranti e il traffico di esseri umani. Contrariamente all’agenda politica portata avanti dall’UE contro i migranti economici che vogliono entrare nel territorio europeo, in Africa si vuole proteggere e assistere i “migranti in difficoltà e vulnerabili”, indipendemente dai motivi per cui sono emigrati. Altra sorpresa: emerge nero su bianco la volontà di “facilitare l’accesso a un’informazione adeguata e credibile sui pericoli dell’immigrazione irregolare e diffondere una visione realistica delle condizioni di vita nei paesi europei” attraverso “campagne d’informazione nei paesi di origine, di transito e di destinazione”. Se nel primo caso denunciare il rischio di andare incontro alla morte è opportunoi, molto più incerta appare la possibilità di convincere un potenziale migrante che vuole fuggire dalla miseria o dalla guerra che l’Europa non è più un eldorado. Peggio, questo approccio sottintende che è meglio non diffondere in Africa le success stories delle diaspore africane presenti in Europa, con buona pace di chi in queste diaspore alimenta le rimesse e quindi lo sviluppo del continente africano, contribuendo nel contempo a rimpinguare le casse degli Stati europei attraverso le tasse e i contributi. Se una logica sottintende questo accordo, perché non inserire al punto uno, laddove si vuole rafforzare gli aspetti positivi della migrazione, l’idea di promuovere vaste campagne d’informazione per sensibilizzare le opinione pubbliche europee ed africane sui valori aggiunti delle diaspore in Europa e in Africa? Dulcis in fundo, il Piano d’Azione fa finta di ignorare che a fronte di un calo demografico drammatico, l’Europa avrà bisogno di 42 milioni di ‘nuovi europei’ entro il 2020. Cioè domani. Una missione che solo l’approdo di nuovi migranti può rendere possibile.

Scontro frontale su rimpatri e riammissioni

Ma il piatto forte arriva con l’ultimo punto, quello relativo ai rimpatri e alle riammissioni dei migranti in situazione irregolare nello spazio UE, ma anche in Africa. Qui lo scontro con i partner africani è stato frontale. Non solo per i tentativi di ricatto di alcuni Stati membri europei nel voler vincolare gli aiuti allo sviluppo alla crisi dei migranti con la logica del “more for more, and less for less” (sparita tra l’altro nell’ultima bozza di accordo), ma anche per la sensazione di molti paesi africani di essere messi con le spalle al muro. Nel tentativo di “rafforzare la capacità delle autorità dei paesi di origine di rispondere in tempi celeri alle domande di riammissione”, Bruxelles aveva chiesto in un primo tempo ai suoi partner africani di riconoscere un lasciapassare europeo che consentisse di rimpatriare un migrante irregolare, senza dare il tempo ai paesi partner di procedere alle dovute verifiche sulla nazionalità. Peggio, voci di corridoio hanno evocato la volontà dell’UE di procedere a rimpatri in paesi frontalieri a quello di origine del migrante africano espulso, qualora fosse trascorso troppo tempo durante la fase di espulsione. Già, perché i migranti costano. Nella bozza, oggi appare chiaro che l’identificazione dei migranti è la condizione sine qua non per organizzare i rimpatri. Più sorprendente invece è l’impegno di entrambe le parti di “organizzare missioni di funzionari africani nei paesi europei per verificare e identificare le nazionalità dei migranti irregolari che non necessitano di una protezione internazionale, con lo scopo di rimpatriarli”. Le prime missioni di identificazione sono previste nel primo semestre del 2016 con almeno 10 paesi africani.

E se tra questi paese ci fosse l’Eritrea, guidato da un regime – quello del Presidente Afeworki – noto per essere uno dei più feroci al mondo? In questo caso, appare difficile immaginare la presenza a Lampedusa di funzionari eritrei giunti in Italia per verificare se i migranti che si spacciano per loro connazionali lo sono davvero. Se si scopre che si ha che fare con un cittadino eritreo in fuga dal suo paese per motivi economici anziché politici, che cosa gli accade? In tal caso, il ritorno in madrepatria diventa molto rischioso. Da tempo poi, “le Ong europee rimproverano all’UE di trattare il regime eritreo come se fosse un partner quando invece è una dittatura”, sostiene Francesco Petrelli, portavoce di Concord Italia. Già, ma ad Asmara qualcuno sa trarre il massimo beneficio del dialogo con gli europei. Come fa notare una fonte diplomatica a Bruxelles, “facendo fuggire oppositori politici e attivisti dei diritti umani, il governo di Afeworki prende due piccioni con una fava: da un lato indebolisce il fronte dei contestatori all’interno del suo paese, dall’altro gli eritrei esiliati alimentano le rimesse verso l’Eritrea”.

Il caso eritreo riassume bene il livello di complessità che caratterizza il dialogo tra UE e Africa sulle migrazioni. E i rischi di scontro sono dietro ogni angolo. “Fondamentalmente, europei ed africani sembrano parlare due lingue diverse”, sostiene una fonte delle Nazioni Unite. “I primi, special modo gli Stati membri, vogliono concentrare gli sforzi sulla sicurezza alle frontiere e i rimpatri, mentre gli africani chiedono più cooperazione sulla mobilità, sia interna che dall’Africa verso l’Europa”. Inoltre, gli europei vorrebbero istituire i “centri di ricezione” in Africa per selezionare i migranti e avviare le eventuali pratiche di riconoscimento dello status di rifugiato internazionale, ma gli africani si oppongono. Per motivi diversi, si oppongono pure le ong che ricordano i trattamenti disumani subiti dai migranti in Libia nell’era Gheddafi, in un’epoca non tanto lontana in cui Berlusconi (con il benestare dei leader UE) aveva fatto un patto con il raiss per fermare i candidati all’emigrazione sulle coste libiche. Dal canto loro, gli africani chiedono che i rimpatri siano volontari, ma in questo caso sono gli europei a dire di no.

Una strada ancora in salita

Un altro elemento di discordia è la scelta dell’organizzazione incaricata di dirigere il Segretariato del Processo di Khartoum per facilitare la sua implementazione. L’UE ha imposto a capo di questo Segretariato l’International Centre for Migration Policy Development (ICMPD), un’organizzazione intergovernativa messa in piedi da 15 paesi europei nel 1993. Ma l’Egitto, leader del fronte africano, non ci sta, accusando l’ICMPD di non aver nessuna presenza in Africa sub-sahariana, e quindi nessuna legittimità per assumere questa funzione. Sarà questo uno dei motivi per cui il regime egiziano non ha ancora confermato la sua presenza a La Valletta? Finora, sui 35 paesi africani chiamati a partecipare al Summit, 24 hanno detto sì. Molti i presidenti attesi a Malta, con alcune delegazioni che si annunciano folte (è il caso del Sudan che si presentetà con il ministro degli Esteri e quattro altri ministri). Ma mentre mancano appena due settimane al Vertice, oltre alla non conferma dell’Egitto spicca quella di due pesi massimi del continente africano: il Marocco (all’EEAS assicurano che si tratta di un ritardo legato alla personalità che il governo marocchino intende inviare a Malta) e la Nigeria.

Insomma, la strada è ancora tutta in salita. Non solo verso La Valletta, ma anche dopo. “E’ soprendente leggere nella bozza d’accordo che il primo incontro di alto livello per verificare l’implementazione del Piano d’azione avverrà soltanto nel 2017”, fa notare Anne Knoll dell’ECDPM, che poi ricorda “come un Piano d’Azione triennale fosse già stato adottato nel 2014 durante l’ultimo Summit UE-Africa che si è tenuto a Bruxelles. Ma da allora si è fatto poco o nulla, anche per mancanza di volontà da parte degli Stati membri dell’UE”. L’Italia avrebbe un ruolo importante da giocare nel nuovo Piano d’Azione, ma dalle informazioni raccolte a Bruxelles non sembra che Roma risulti particolarmente attiva in questo momento. Un peccato se si pensa che il governo italiano è stato uno dei grandi protagonisti del lancio del Processo di Khartoum. Sul fronte opposto, i governi africani dovrebbero farla finita con i colpi di Stato (Burkina Faso) e le continue violazioni dei diritti umani (dal Burundi allo Zimbabwe, passando per l’Eritrea), e migliorare il livello di governance. Questo il sentimento diffuso tra i governi europei, sempre più attenti a giustificare i soldi dei contribuenti UE spesi a favore dello sviluppo e della stabilità politica del continente africano.

:::::

Quelle: afronline.org

EXCLUSIVE. EU-Africa: Valletta, the summit of dissent

Brussels – The EU and its African partners are meeting on November 11th and 12th in Valletta (Malta), for a summit on migration that has very uncertain political outcomes. Afronline.org reveals here the latest draft of the agreement between the two parties that contains an Action Plan in which return arrangements and the fight against irregular migration take precedence over mobility.

On November 11th and 12th, the EU and its African partners are meeting in Valletta, for a summit on migration and mobility, as a follow-up to the 2-3 April 2014 Fourth EU-Africa Summit in Brussels. Malta will host the Heads of state of 28 EU Member states, 35 African countries, and representatives from the African Union, ECOWAS and the United Nations. The summit is called upon to demonstrate that the EU and Africa share a joint will to strengthen dialogue and cooperation on migration issues. Concretely, this means fighting against migrant smuggling and human trafficking; improving cooperation with regards to return arrangements and readmission of the irregular migrants in their African countries of origin; promoting legal channels for migration and mobility, and protecting migrants and asylum seekers. Last but not least, a top priority remains addressing the root causes of irregular migration, by supporting any initiative in favour of peace, stability and sustainable development on the African continent. This is the official agenda.

EU-Africa dialogue, or EU monologue?

On an operational level, the Valletta Summit is preceded by a series of high-level preparatory meetings that took place in Brussels (18 September), Rabat (14 October), and Sharm El Sheikh (29 October). The choice of these last two African cities is not accidental. The dialogue initiated by the EU with the African countries on migration follows two geo-political trajectories: the Rabat Process, launched in July 2006, whose focus has progressively shifted onto the Sahel region and Western Africa, and whose leadership is undertaken by Morocco on behalf of the African countries; and the Khartoum Process, officialized in Rome in November 2014 between the EU and some twenty African countries (including Sudan, Eritrea, and Somalia), in order to reinforce cooperation between countries of origin, transit, and destination, from the Horn of Africa to Europe, and passing through Egypt. Cairo heads the African delegation in this Process.

Yesterday in Egypt, European and African high-level officials met for the last time before the summit. Afronline gained access to the draft agreement that has been discussed yesterday in Sharm El Sheikh, and will be further reworked in the next week with a drafting committee.

Barring any surprises, which are always a possibility, this draft agreement will be broadly adopted in Malta. It contains both the final declaration, as well as a five-point Action Plan on which the EU and its African partners are trying to reach a definitive agreement. However, tensions are running high. A high-ranking African Union figure who closely follows the dossier said to Afronline that “there is no dialogue. What we are seeing from the EU is a monologue that seeks only to impose its own agenda.” Member states such as Austria, Poland and Lithuania in particular want to place conditions on development aid that are directly related to the effort African governments will make to strengthen collaboration with the EU, on the topic of irregular African migrants’ returns from the EU into their countries of origin. It’s the logic of “more for more, less for less”, which adapted to the Valletta context translates as: “more efforts on returns, more aid; less efforts, less aid”.

This approach goes against the spirit of the new Sustainable Development Goals (SDGs) that these same European Member states ratified in last September at the UN General Assembly: aid should not be made conditional in circumstances such as these. In a joint statement on the Valletta Summit, Caritas Europa and Caritas Africa ask the EU and its member states to “refrain from using readmission and return clauses in bilateral and regional agreements, ‘punishing’ African countries for non-admittance of African nationals by reducing development aid”. However, not everyone agrees with this. During the reform of the Italian cooperation adopted last year, the Minister of Home Affairs, Angelino Alfano, attempted to insert conditional terms for Italian aid to the migrant crisis into the new Law 125: an attempt which failed.

Mobility in the eye of the storm

The policy adopted by many European governments is primarily focused on the necessity to stop the migration fluxes from Africa at all costs, as well as the acceleration of returns processes. In a previous draft dated 26th August 2015, the comments from EU diplomats leave little room for doubt: there are many indications of support for the “more for more” approach, the strengthening of policies of returns and readmission to countries of origin, and the increasing action against migrants trafficking on the African continent.

The ‘mediators’ between the most resistant Member states and African countries are the European Commission, the External Action Service led by Federica Mogherini and Pierre Vimont, and the personal envoy of the President of the European Council, Donald Tusk, whose task has been to lead preparations for the Valletta Summit. Their work seems to have been at least partially fruitful.

Notwithstanding the will of some EU Member states to reshape the promotion of legal migration channels and mobility, in the latest draft this last crucial issue features as the second point of the aforementioned five points on the Action Plan. “It’s an encouraging sign”, says Anna Knoll, policy officer for the European Centre for Development Policy Management (ECDPM) – one of the most influential European think tanks on EU-Africa relations. “The other positive sign concerns the recommendations and commitments that appear for the first time at the end of each point on the Action Plan. Nonetheless, the commitments are still too generic”. If not downright disappointing.

In the case of mobility, by the end of 2016 the EU will only “double the number of scholarships for students and academic staff through the EU supported Erasmus programme in 2016 compared to 2014”, and will also “launch pilot projects that pool offers for legal migration (e.g. for work, study, research, and vocational training) by some EU Member states or associated countries to selected African countries as an element of the comprehensive logic of the Action Plan”. In turn, this will facilitate the issuing of visas, but also symbolises the non coherence of European Policies on migration “In this last case, contradictions arise with the negotiations the EU is trying to carry forward with Turkey, which is an associated country, as well as a country of transit for migrants,” underlines Knoll. “In fact, recently Brussels has asked Ankara to greatly limit the issuing of visas to Africans,” who then risk landing into the European zone.

One agreement and many contradictions

However, in its dialogue with Africa, the EU cannot limit itself to building walls around its borders. Not by chance, the first point of the Action Plan gives priority to the positive aspects of migration (for example reducing “by 2030 to less than 3 percent the transaction costs of migrant remittances”, whose amount in Africa outweigh Western aid) and the necessity of tackling the root causes that fuel irregular immigration and forced displacement of Africans (conflict, poverty, natural disasters). With a budget equal to 1.8 billion euro, the new EU Emergency Trust fund for Africa aims to “strengthen stability on the African continent and the fight against the structural causes of African irregular migration”, says Alexandre Polack, European Commissioners’ Spokesperson for Humanitarian Aid and Development cooperation.

The decisions adopted this week by the European Council for Foreign Relations (Development) on this Fund have created concern amongst European and African NGOS. Oxfam is particularly disappointed that the Trust Fund, intended to address migration, risks being used more for border security purposes, rather than fighting poverty and social inequalities. “The EU is mixing up objectives aimed at helping people who have been displaced from their homes through development cooperation, with those aimed at stopping them coming to Europe through security cooperation,” said Natalia Alonso, head of Oxfam’s Brussels office. “Similarly, development aid and trade agreements with developing countries should not be subjected to the acceptance, on their part, of restrictive border controls, readmission agreements or other migration control measures,” the NGO confederation CONCORD Europe stated.

In the third point of the Action Plan draft agreement, the main goal is to “reinforce the protection of refugees and other displaced persons, uphold the human rights of all migrants, refugees and asylum seekers – especially those who remain trapped for years in the refugee camps similar to that of Dabaab, in Kenya, that has hosted over 300,000 people fleeing from war and poverty. Among the commitments, “Regional Development and Protection Programmes in the Horn of Africa and North Africa should be up and running by mid-2016”. Watch this space.

The fourth point is dedicated to the “prevention and the fight against irregular immigration, migrant smuggling and trafficking in human beings. In contrast to the political agenda carried forward by the EU in Europe against the economic migrants who want to enter European territory, in Africa, the EU (with the consensus of the African governments) want to protect and assist “vulnerable migrants in difficulty”, independent of their reason for migration.

Raising awareness on migratory situation in Europe

Another surprise: there is a clear will “to raise awareness of the general public and potential migrants on the dangers of trafficking in human beings and smuggling of migrants, including through public broadcasting services programmes about the migratory situation in Europe”.

If, in the first instance, making clear the risk of going up against death in the Sahel or Mediterranean Sea is appropriate, it is far more difficult to convince a potential migrant who wants to flee poverty or war that Europe is no longer an El Dorado. Even worse, this approach implies that it is best not to disseminate success stories in Africa of the current Africans diaspora in Europe, to the detriment of those in these diasporas who feed the remittances and so the development of the African continent, by contributing to the filling of European states’ coffers through taxes.

If there is a logical approach in this agreement, then why not insert in the very first point of the Action Plan the promotion of information campaigns to raise awareness in Europe and Africa on the added values of diaspora in both regions? Last but not least, the actual draft ignores the fact that, faced with a dramatic demographic decline, Europe will need 42 million “new Europeans” by 2020.This is a reality that only the arrival of new migrants can render possible.

Head-on collision on returns and readmissions

The best is saved for last, with the final point concerning returns and readmissions of irregular migrants from the EU to Africa. Here, the clash with African partners has been head-on. Not only for the blackmailing attempts by a few European member states who tried to apply the “more for more, less for less” logic (which, by the way, disappeared in the last draft of the agreement), but also for the feeling that many African countries are being backed into a corner. In an attempt to “strengthen the capacity of authorities of countries of origin to respond in a timely manner to readmission applications”, Brussels had originally asked its African partners to recognise an EU laissez passer that would allow for the return of an irregular migrant, without giving the time to these African countries to carry out the necessary verification identification processes. Even worse, rumours are circulating that at one point the EU wanted to proceed with returns to bordering countries of the migrant’s country of origin, in case the readmission phase took too long. In the draft, it’s clear that the identification of migrants is a necessary condition for the organisation of returns. Many African countries ask for this to be voluntary, but Europeans say no.

What is surprising however is the commitment from both parties to organize “missions by immigration officials from African countries to European countries in order to verify and identify nationalities of irregular migrants who are not in need of international protection with a view to being returned.” The first identification missions are scheduled to take place in the first quarter of 2016, with at least 10 African countries.

And what if Eritrea was included amongst these countries? Eritreans are desperately trying to flee the dictatorship of Isaias Afeworki, a regime which is close to being Africa’s equivalent of North Korea. In this case, it seems difficult to imagine the presence of Eritrean officials in Lampedusa, to verify if the migrants that pretend to be their countrymen are in fact so. What would happen in the case of an Eritrean migrant who was fleeing for economic rather than political reasons? In this case, return risks becoming dangerous. For a while now “European NGOs disapprove of the EU’s treatment of the Eritrean regime as a partner, when it is, in fact, a dictatorship,” says Francesco Petrelli, spokesperson for Concord Italia.

However, in Asmara someone knows how to make the most of the dialogue with the EU. As a diplomatic source in Brussels told to Afronline,”by making political opposition and human rights activists flee, Afeworki kills two birds with one stone: on the one hand he weakens internal dissent in his country, and on the other the exiled Eritreans feed the remittances into Eritrea.”

The Eritrean case summarizes the level of complexity that characterizes the dialogue between the EU and Africa on migration. The risks of clashes are present at every step. “Fundamentally, the Europeans and Africans seem to be speaking in two different languages”, claims a United Nations source in Brussels. “The EU Member states want to concentrate most of the efforts on improving border security and returns agreement, whilst the Africans are asking for more cooperation with regards to mobility, both internally on the continent, as well as externally from Africa to Europe.” Furthermore, the Europeans would establish “reception centers” in Africa, in order to select the migrants and start the international refugee recognition procedures, however the Africans are opposed to this. This opposition is also echoed by the NGOs, who recall the inhumane treatment of Libyan migrants during the Gadhafi era, in the not-so-distant past when Berlusconi (supported by EU leaders) made a pact with the dictator to block migrants on the Libyan coasts.

Still an uphill battle

Another debated issue is the choice of the organization that will lead the Secretariat of the Khartoum Process. Europe has imposed the International Centre for Migration Policy Development (ICMPD), an intergovernmental organization set up by 15 European countries in 1993. Yet Egypt, which is currently leading the African side, accuses ICMPD of having no presence in sub-Saharan Africa and therefore no legitimacy in this role. Could this be the reason why the Egyptian regime has not yet confirmed its presence in Valletta? So far, out of the 35 African countries invited to participate in the Summit, 24 will attend. Many Presidents are expected with numerous delegations (e.g. Sudan will send its Minister of Foreign Affairs and four other Ministers). The summit is in two weeks, but there are two more African states missing from the picture in addition to Egypt: Nigeria and Morocco (according to the European External Action Service, the latter has not yet found an agreement on whom to send to Malta).

In short, the road to Valletta and beyond is still uphill. “It is surprising to read in the draft agreement that the first senior officials meeting to assess the implementation of the Action Plan will only take place in 2017,” notes Anna Knoll of the ECDPM, reminding that “a three-year action plan had already been adopted during the EU-Africa Summit 2014 in Brussels.” Since then, little or nothing has been done, also due to a lack of will on the part of EU Member states. Italy could play an important role in this new Action Plan, however information gathered in Brussels shows that Rome is not particularly responsive at the moment. A missed opportunity, if we take into consideration that the Italian government had a leading role in the launch of the process of Khartoum. On the African side, governments should stop coups (Burkina Faso), the persisting human rights violations (from Burundi to Zimbabwe, via Eritrea), and improve their level of governance: this is the feeling amongst many European governments, who are increasingly anxious to justify to the EU taxpayers all the money spent on development and political stability on the African continent.

Click here for reading the Oxfam position paper for EU-Africa migration summit and here for the African and European civil society joint statement on Valletta Summit.

By Joshua Massarenti (Afronline.org)

Translated by Kimberley Evans.

Kommentare geschlossen.