04. September 2017 · Kommentare deaktiviert für MOAS Shifts Operations to South East Asia · Kategorien: Libyen, Mittelmeer · Tags: ,

MOAS | 09.2017

Following recent developments in the Central Mediterranean, MOAS has taken the decision to strategically redeploy its operations to South East Asia.

MOAS was founded in 2014 as the first search and rescue operation of its kind, determined to mitigate the loss of human life on deadly maritime migration routes.

On the 30th August 2014, the MOAS crew conducted its first rescue. Three years later, MOAS has rescued and assisted over 40,000 children, women and men fleeing violence, poverty and persecution, and its efforts to safeguard the most vulnerable people have been recognised most recently by the Atlantic Council.

On 1st April 2017, MOAS launched its 2017 Central Mediterranean Mission, rescuing over 2,000 people in April alone.

During this mission, the MOAS crew have faced greater challenges than ever, including the increasing overcrowding of the vessels and the deteriorating physical condition of the people rescued. Despite these challenges, during this mission the MOAS crew have rescued and assisted 7,826 people, all the while observing and monitoring the increasingly complex context in the Mediterranean. MOAS also signed the Code of Conduct proposed by the Italian government, confirming its will to cooperate.

Yet, at the moment it is unclear what is going on in Libya to the detriment of the most vulnerable people there. Their rights should be safeguarded both in line with International Law and in order to defend the principle of humanity.

MOAS does not want to become part of a mechanism where there is no guarantee of safe harbour or welcome for those being assisted and rescued at sea.

In this context, and on the basis of our humanitarian principles, the decision has been taken to suspend our search and rescue activities in the Central Mediterranean.

MOAS is nevertheless determined to continue its humanitarian activities wherever they are most needed.

On the 27th August 2017, Pope Francis called for an international response to the escalating Rohingya crisis in Myanmar.

As in 2014 when we followed Pope Francis’ appeal to assist migrants along the fatal Mediterranean route, today we are renewing our commitment in the Bay of Bengal.

Building on MOAS’ long-standing dedication to alleviating the plight of the persecuted Rohingya minority, MOAS is therefore undertaking a strategic shift of its operations to South East Asia.

From there, MOAS will deliver much-needed humanitarian assistance and aid to the Rohingya people, and will work to provide a platform for transparency, advocacy and accountability in the region where a deadly exodus is unfolding on the border between Bangladesh and Myanmar.

In the meantime, MOAS will continue to monitor global migration trends and will maintain situation awareness in the Mediterranean, ready to react to any change that would allow it to resume operations in line with its core humanitarian principles. Since the beginning of its operations, MOAS recognised that search and rescue is not the solution to the ongoing migration crisis, and will continue to advocate and lobby for the creation of safe and legal routes for those most vulnerable and in need of international protection.

As it has always done, MOAS will continue to stand for solidarity and hope for those who need them the most.

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Il Manifesto | 05.09.2017

«In Libia i migranti non sono al sicuro» Moas ferma i salvatagg

Migranti. L’Ong maltese va via dal Mediterraneo: «Non vogliamo essere complici di un meccanismo che non garantisce l’accoglienza»

Più che l’annuncio dello stop alle operazioni di soccorso sembra un chiaro atto di accusa alla politica messa in atto dall’Italia per fermare i migranti in Libia. Moas, la Ong maltese che in tre anni di attività nel Mediterraneo centrale ha tratto in salvo più di 40 mila persone, ha deciso infatti di sospendere l’attività spiegando che la scelta è dovuta al trattamento riservato ai migranti riportati nel Paese nordafricano dopo essere stati fermati in mare dalla Guardia costiera libica. «Non è chiaro cosa accada in Libia ai danni delle persone più vulnerabili, i cui diritti andrebbero salvaguardati in ottemperanza al diritto internazionale e per difendere il principio di umanità», ha spiegato ieri la Ong aggiungendo di voler trasferire l’attività di soccorso nel sud est asiatico, in aiuto alla minoranza Rohingya perseguitata dal governo di Myanmar.

Moas è stata una delle prima Ong a firmare il codice Minniti e anche per questo la sua scelta è ancora più sorprendente. Solo quest’anno, tra aprile e agosto, ha salvato 7.826 migranti trasportandoli in Italia e lavorando sempre in collaborazione con le altre organizzazioni umanitarie e con la Guardia costiera italiana, dalla quale dipendono le operazioni di salvataggio.

Adesso, dopo che le notizie su quanto accade ai migranti in Libia sono ormai all’ordine del giorno, la decisone di interrompere il lavoro. «Sono troppe le domande senza risposta e i dubbi in merito al destino di chi è intrappolato o viene riportato in Libia», ha scritto sul suo blog Regina Catrambone, co-fondatrice della Ong. «Le terribili testimonianze di chi sopravvive raccontano un inferno di abusi, violenza, torture, rapimenti ed estorsioni». Da qui la decisione: «Non vogliamo – ha spiegato la Ong – diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza in porti e luoghi sicuri».

A giungo, quando l’attività della Guardia costiera libica ha preso avvio grazie a quattro motovedette fornite dall’Italia, era stato assicurato che i migranti fermati in mare sarebbero stati portati in campi di accoglienza gestiti dall’Unhcr e dall’Oim. I campi però non sono ancora stati realizzati e i migranti, donne e bambini compresi, finiscono nei centri di detenzione in condizioni disumane. Due giorni fa, partecipando alla festa dal Fatto, il ministro degli Interni Marco Minniti ha assicurato di voler garantire i diritti umani ai migranti in Libia, arrivando però decisamente troppo tardi.

Sulla situazione in Libia, e sui possibili motivi dietro alla diminuzione di arrivi in Italia, neo giorni scorsi un’inchiesta condotta dall’Agenzia americana Ap aveva parlato di un presunto accordo siglato dai servizi italiani direttamente con le milizie che fino a ieri organizzavano il traffico di migranti e che oggi si sarebbero riconvertite nel più lucroso affare di impedire le partenze dei barconi diretti in Italia. L’agenzia citava in particolare due milizie attive a Sabrata, uno dei principali punti di partenza dei migranti. La notizia è stata smentita dalla Farnesina («non trattiamo con i trafficanti»), ma una conferma a quanto scritto dall’Ap arriva dal capo del consiglio militare di Sabrata, Taher Gharabli. Intervistato dall’Adnkronos, l’uomo ha affermato che «chi oggi combatte la tratta di esseri umani» in Libia «è chi in precedenza era responsabile della tratta». Gharabli ha aggiunto che il governo di concordia nazionale «non ha confermato finora il sostegno a nessuna brigata nella città di Sabrata», e che «l’unico accordo che realmente esiste è quello tra le brigate di Sabrata e il governo italiano per ridimensionare l’immigrazione».

Ieri Minniti si è recato in Algeria dove ha incontrato il primo ministro Ahmed Ouyahia e i ministri degli Interni e degli Esteri. Scopo del viaggio era quello di rafforzare la cooperazione tra i due paesi nelle azioni di contrasto al terrorismo e all’immigrazione. Sabato scorso il governatore della Sardegna Francesco Pigliaru aveva chiesto a Minniti di intervenire con le autorità di Algeri per fermare gli sbarchi di migranti algerini sull’isola.

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