Corriere della Sera | 15.09.2017
Tra i giovani africani rilasciati dai centri di detenzione e rimpatriati con gli aerei
di Lorenzo Cremonesi, inviato a Tripoli
Al capolinea di un lungo calvario. Eccoli qui quelli che sono finalmente riusciti a prendere il volo gratuito per tornare alle loro case in Africa. Per una volta puliti, con le magliette colorate, i pantaloni e le scarpe nuovi donati loro ieri sera alla vigilia della partenza. Qualcuno ha una vecchia borsa a tracolla, uno zainetto sgualcito, o un sacchetto di plastica con qualche vestito, ma la maggioranza non porta alcun bagaglio. «Erano settimane che i guardiani libici non mi lasciavano fare una doccia. Non posso comunicare con l’esterno. La mia famiglia non sa neppure che sto tornando. Non li vedo da quattro anni», dice tra loro Ibrahim Latifo, 24 anni, di cui gli ultimi quattro in Libia come operaio edile. Due volte ha provato a prendere i gommoni per l’Italia, a oltre 800 dollari per viaggio: i risparmi di mesi e mesi di lavoro buttati via nel primo tentativo a causa di un guasto al motore e il secondo fallito per il mare grosso e perché «ci siamo presi paura e siamo tornati alla spiaggia». Lui è uno dei 52 giovani del Niger che la Iom (International Organization for Migration, dipendente dalle Nazioni Unite) è riuscita a coordinare nel centro di detenzione libico di Triqsiqqa ed unire ad altri circa 150 raccolti individualmente nelle vie della capitale. Non un lavoro facile.
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