Europa e Africa, accordo sui migranti
Carlo Lania, ROMA
Processo di Khartoum. Campi per i profughi in Africa gestiti da Unhcr e Oim. Ma c’è chi teme la nascita di nuovi ghetti
Le speranze sono molte, almeno quante sono le preoccupazioni che da diverse settimane circondano l’iniziativa. Dopo Triton, la missione europea che ha il compito di controllare le frontiere marittime del continente, l’Unione europea si prepara ora a lanciare un nuovo piano — battezzato Processo di Khartoum — destinato a contrastare il traffico di esseri umani ma anche al controllo dei flussi migratori provenienti dal Corno d’Africa. Un progetto messo a punto nei mesi scorso in accordo con l’Unione africana e che verrà presentato domani al termine della IV Conferenza ministeriale euro-africana su migrazioni e sviluppo in corso a Roma. Per l’occasione sono presenti i ministri degli Esteri e degli Interni dei 28 Paesi membri dell’Unione, più quelli di Eritrea, Egitto, Etiopia, Gibuti, Kenya, Libia, Somalia, Sudan, Sud Sudan e Tunisia, ovvero i paesi da cui parte o in cui transita la maggior parte dei migranti che — attraversano viaggi estremamente pericoli che spesso durano molti mesi — cercano di arrivare in Europa.
L’iniziativa prende avvio a pochi giorni di distanza dallo stop imposto dal governo italiano all’operazione Mare nostrum che in un anno ha salvato 160 mila migranti, e proprio come Triton punta sì al contrasto dei trafficanti di uomini, ma anche a una riduzione degli arrivi lungo le nostre coste.
I dubbi sulla nuova operazione nascono proprio sui metodi scelti per raggiungere questi due obiettivi. Anche se finora non c’è nulla di ufficiale al centro del Processo di Khartoum c’è la realizzazione di campi profughi nei Paesi che si trovano a Sud della Libia, in particolare Etiopia, Sudan, Sud Sudan e Niger, attraversati oggi con mille pericoli dai migranti prima di arrivare nel Paese nordafricano dove poi si imbarcano diretti verso le coste italiane. I campi dovrebbe essere gestiti dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), e dovrebbero offrire un rifugio protetto ai migranti consentendo anche di stabilire quanti di loro hanno diritto alla protezione internazionale.
Da parte sua l’Europa si impegna ad accogliere, dividendoli nei vari Paesi membri, i rifugiati la cui richiesta di asilo è stata accolta. «In questo modo — spiegano al Viminale — riusciamo a togliere i profughi dalle mani dei trafficanti, dal momento che non dovrebbero più affidarsi a loro per attraversare il Mediterraneo».
Del Processo di Khartoum si è parlato ieri a Bruxelles nella sede del nuovo commissario europeo per l’immigrazione, il greco Dimitris Avramopoulos, mentre a dicembre a Ginevra si terrà la conferenza dei Paesi dell’Ue per stabilire le quote di accoglienza e i finanziamenti da destinare all’operazione. Soldi che dovranno servire anche per l’addestramento delle varie polizie di frontiera africane e per avviare campagne di informazione nei Paesi di origine dei migranti. Probabile, come già avviene in alcuni Paesi africani, che l’obiettivo sia quello di dissuadere quanti fuggono dall’intraprendere il viaggio, ponendo l’accento sui rischi che questo comporta.
Fin qui il progetto, che però al di là delle buone intenzioni non è privo di zone grigie. A partire dalla scelta fatta dall’Europa, e in particolare dall’Italia, di avviare rapporti di collaborazione con dittature come quelle presenti in Sudan e Eritrea. Come spiega don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia che da anni denuncia le violenze del regime di Asmara. «Che garanzie offrono questi paesi perché l’Italia possa dialogare con loro?», chiede il sacerdote. «L’Onu ha avviato una commissione d’inchiesta proprio per accertare le violazione dei diritti umani in Eritrea, e adesso l’Italia legittima quel paese che è privo perfino di una Costituzione». Dubbi che si estendono anche alla realizzazione dei campi, che secondo don Zerai l’Europa potrebbe usare per raccogliere i migranti lasciandoli poi lì. «Campi così esistono già nel nord dell’Etiopia, dove sono stipati 80 mila profughi, e in Sudan dove migliaia e migliaia di persone aspettano mesi e mesi che qualcuno esamini le loro domande di asilo».
C’è poi, e non è certo secondario, il problema su chi garantisce la sicurezza dei campi. L’idea sarebbe di affidarla alla polizia dei locale che però, come ricorda don Zerai, è spesso corrotta e collusa con i trafficanti. «La mia paura — conclude il sacerdote — è che in realtà l’Europa voglia aprire quest campi per trattenere i profughi, impedendogli così di arrivare fino a noi».
Conferenza ministeriale su Iniziativa Ue-Corno d’Africa sulle rotte migratorie (Processo di Khartoum)
RELAZIONI UE-AFRICA
Il 28 novembre a Roma, presieduta dal ministro degli Esteri Gentiloni e dal ministro dell’Interno Alfano
ROMA – La “EU-Horn of Africa Migration Route Initiative” (“Processo di Khartoum” o ‘PK’) sarà lanciata con una Conferenza ministeriale a Roma il 28 novembre, presieduta dal ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Paolo Gentiloni e dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, accompagnati dal vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli e dal sottosegretario dell’Interno Domenico Manzione.
Flussi migratori e stabilizzazione regionale
Scopo dell’iniziativa – spiegano dalla Farnesina – la promozione di progetti concreti per una più efficace gestione dei flussi migratori nei Paesi del Corno d’Africa e nei maggiori Paesi mediterranei di transito (Libia, Egitto e Tunisia). In un’area dove le ricorrenti tensioni hanno anche portato in passato a conflitti armati, il Processo di Khartoum (PK) dovrebbe avere anche una valenza di stabilizzazione regionale.
La missione del vice ministro Pistelli a inizio luglio nei Paesi del Corno d’Africa (Somalia, Gibuti, Eritrea, Sudan ed Etiopia) ha avuto – sottolinea la Farnesina – un ruolo determinante.
38 Paesi partecipanti
Oltre ai 28 stati membri UE, partecipano al processo Libia, Egitto, Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea, Gibuti, Somalia, Kenya, Tunisia.
Aumento del 400% degli arrivi rispetto al 2013
L’Italia è confrontata da tempo con consistenti flussi migratori (nel 2014 dalla frontiera marittima del Mediterraneo meridionale sono arrivati oltre 161.000 migranti, in aumento di oltre il 400% rispetto al 2013); l’operazione Mare Nostrum ha permesso di soccorrere in mare oltre 100.000 persone. La gestione di questi flussi non può avvenire unicamente con operazioni umanitarie, come Mare Nostrum, o di controllo delle frontiere, come l’operazione Triton, recentemente varata dall’agenzia europea Frontex.
Rafforzare cooperazione con Paesi di origine e transito
La Farnesina ha quindi ritenuto che fosse essenziale rafforzare la cooperazione con i Paesi di origine e transito dei migranti, in particolare intorno alla Libia, visto che la situazione attuale non consente di collaborare efficacemente con Tripoli e gran parte dei migranti e richiedenti asilo arriva dal Corno d’Africa. Con i Paesi della regione inoltre l’UE non aveva un foro di dialogo, mentre ne esisteva da tempo uno (Processo di Rabat) con i Paesi dell’Africa occidentale.
Lotta a “smuggling” e “trafficking”
In una prima fase, l’attenzione del PK si concentrerà su un tema di grande urgenza: la lotta al traffico di migranti (“smuggling”) e alla tratta (“trafficking”). Successivamente, il Processo di Khartoum potrà espandersi ad altri temi, in coerenza con le priorità dell’UE (migrazione regolare, migrazione irregolare, migrazione e sviluppo e protezione internazionale). Il tutto in un contesto di grande concretezza, finalizzato ad attivare precisi progetti di cooperazione da finanziare con fondi UE, coinvolgendo l’Organizzazione internazionale per la Migrazione (OIM) e l’UNHCR, già attive nella regione. Si pensa ad iniziative nel settore della formazione per guardie di frontiera, gestione dei campi per migranti, informazione a questi ultimi sui rischi della migrazione irregolare.
Partecipazione attiva Paesi europei e africani
L’iniziativa – evidenzia la Farnesina – è stata bene accolta dai Paesi europei, specialmente da quelli più direttamente toccati dai fenomeni migratori. La Germania ha fatto stato di essere molto interessata alle finalità del PK e si sta pensando a possibili iniziative bilaterali con questi Paesi in campo migratorio. Sul “fronte” africano, l’iniziativa è stata accolta con grande interesse, conclude la Farnesina. (Inform)