02. Januar 2014 · Kommentare deaktiviert für Libyen: 240 verhaftete eritreische Boat-people – Lager · Kategorien: Eritrea, Italien, Libyen · Tags: , ,

Aggiornamento dalla Libia, il gruppo di 240 profughi eritrei che il 25 dicembre presi con la forza caricati su mezzi di trasporto per trasferirgli da Ajdabiya Cirenaica verso la Tripolitana, sono stati divisi in due i maschi in 185 ci sono anche dei minori staccati con la forza dalle loro madri, ragazzi di 15-16 anni, sono stati introdotti nel lager a Khoms dove hanno trovato altri 140 profughi, da due mesi chiusi in questo lager senza aver mai visto la luce del sole, subendo ogni giorno umiliazioni e maltrattamenti, baste che dici una parole per lamentarti sulle condizioni che ricevi in tutta risposta una scarica di bastonate, tu sei solo una merce, se voi uscire devi solo pagare 1000 dollari a testa.

Le donne in 55+11 bambini di eta 0-11 anni una che ha partorito nel centro di detenzione tre giorni fa, un altre un mese fa tutte costrette a vivere in condizioni di degrado, ora le donne sono terrorizzate il fatto che sono state separate dai mariti e figli maschi, i miliziani possono abusare di loro, al telefono è un pianto e urla di disperazione, ora si trovano nel lager di Gurei a Grubuli, dove sono arrivate altre 13 donne e bambini, frutto di retate che fanno le milizie ogni tanto. Sopratutto le mamme sono preoccupate per la salute dei loro figli, non ce assistenza medica pediatrica, anche per le donne che hanno partorito da poco sono abbandonate a se stesse, non ce cibo adatto per i bambini. I bambini hanno bisogno anche di prendere l’energia solare neanche quello possiamo perché chiusi in questo stanzone, i nostri figli già da piccoli stanno sviluppando una serie di allergie, sono cosi deboli perché non trovano sufficiente cibo e le vitamine che avrebbero bisogno qui siamo costretti a pane acqua e riso.

Ecco che il risultato dei fondi europei e accordi con la libia producono solo sofferenze a persone che hanno bisogno di protezione, il Papa durante la visita a Lampedusa si chiedeva „chi è responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle che muoiono nel mare?“ La risposta che si è dato fu „nessuno“ perché tutti dicono non sono io, l’indifferenza globale. Io oggi mi chiedo la stessa cosa difronte alle sofferenze di queste donne bambini e uomini, ma la risposta ce è chiara, l’Europa con l’Italia in prima fila, che finanzia e pressa la libia a bloccare i disperati che vengo a bussare alla porta d’Europa con ogni mezzo.  L’Europa e l’Italia che preferisce spendere milioni per ergere meccanismi di difesa invece che usare quei soldi per accogliere le persone in modo dignitoso, l’Italia e l’Europa intera hanno preferito rafforzare frontex, invece di dare più fondi per la cooperazione internazionale per costruire la Pace e condizioni di vivibilità nei paesi di provenienza o di transito di queste persone. Ecco che l’Europa è responsabile quanto la libia per le sofferenze inflitte a questi profughi nei lager chiamati centri di detenzione per immigrati irregolari, quando invece parliamo di profughi e rifugiati in cerca di protezione internazionale.

Fr. Mussie Zerai
Chairman of Habeshia Agency
Cooperation for Development
E-mail: agenzia_habeshia@yahoo.it
http://habeshia.blogspot.com
Phon+39.3384424202
Phon: +41(0)765328448

Un Natale da schiavi per 240 profughi eritrei

di Emilio Drudi

Un Natale da schiavi. Qualche mese fa si sono salvati a stento nel mare in tempesta, a bordo di un barcone in balia delle onde. Respinti sulla costa libica dalla quale erano partiti verso Lampedusa e subito rinchiusi in un centro di detenzione, dalla sera del 25 dicembre sono in balia di un gruppo di miliziani. Forse li hanno già venduti per il lavoro forzato oppure a una delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani.

E’ la sorte di 240 profughi eritrei. L’ultima tappa di un’odissea che, per quasi tutti, si trascina da un anno e passa. L’ha raccontata uno di loro, chiedendo disperatamente aiuto, a don Mussie Zerai, il presidente dell’agenzia Habeshia. Sono arrivati in Libia dal Sudan o dall’Etiopia per vie e in tempi diversi, attraverso il Sahara. Varcato il confine libico meridionale, in pieno deserto, molti sono passati dall’inferno delle carceri e dei lager di Tripoli, finché nell’autunno scorso hanno potuto comprarsi un imbarco di fortuna verso l’Italia. La traversata non è riuscita. Investita da una violenta burrasca, la carretta sulla quale erano stati caricati ha dovuto invertire la rotta. Alcuni di loro, almeno tre, caduti in acqua, sono scomparsi in pochi istanti. Impossibile aiutarli. Poi, quando in qualche modo sono arrivati a terra, hanno trovato ad attenderli la polizia. Neanche il tempo di fiatare e sono stati trasferiti nel centro di detenzione di Ajdabiya, una struttura per rifugiati e migranti situata poco lontano dal litorale, nella zona nord est del paese, in Cirenaica, aperta nel 2009. Una delle più tristemente famose, nominalmente gestita dal ministero degli interni ma dove fame e sete, maltrattamenti e pestaggi, violenze e torture sono la norma. Sono rimasti lì sino alla mattina di Natale.

Si era fatto giorno da poco quando una squadra di militari armati li ha prelevati, costringendoli a salire su un piccolo convoglio di camion-container, gli autocarri speciali, con il piano di carico completamente chiuso, che vengono usati di solito per i trasferimenti dei prigionieri, nascondendoli alla vista di tutti. Colpi di spranga e con i calci del fucile per chi tentava di protestare. E, per tutti, la minaccia di deportarli in Eritrea, il paese dal quale sono fuggiti e dove, se rientrano, li aspettano processi, galera e anche peggio, come migranti clandestini o come disertori. Stipati uno sull’altro, hanno viaggiato per ore lungo la costa, superando numerosi posti di blocco, fino alla periferia di Misurata, 650 chilometri più a ovest. Prima di entrare in città, l’ennesimo posto di blocco. I miliziani armati che lo presidiavano forse li stavano aspettando: fermata l’autocolonna, li hanno presi in consegna.

A quanto mi hanno riferito – racconta don Zerai – si tratta dei miliziani che controllano la regione di Misurata. Tutto lascia credere che sia l’ennesimo capitolo del traffico di esseri umani. La base principale delle organizzazioni che gestiscono la traversata del Mediterraneo per i profughi, su navi “a perdere” stracariche, è a Tripoli. E’ su questa costa, a circa 200 chilometri di distanza da Misurata verso occidente, che gli scafisti ‘catturano’ i rifugiati arrivati in Libia, per mandarli allo sbaraglio, spesso alla morte, nel Canale di Sicilia. Prima, però, ci vogliono guadagnare anche i miliziani che dai giorni della rivoluzione contro Gheddafi non hanno mai deposto le armi, esercitano di fatto il potere reale in gran parte del territorio e probabilmente hanno fatto di questi ricatti una fonte lucrosa di autofinanziamento. Da ogni prigioniero, soltanto per rilasciarlo e consentirgli di proseguire fino a Tripoli, pretendono mille dollari. Altrimenti si finisce in uno dei loro lager, come schiavi. Ed è appena l’inizio. Per l’imbarco gli scafisti, spesso in combutta con gli stessi miliziani o con poliziotti corrotti, chiedono almeno 1.500 dollari a testa. Talvolta anche di più. Oltre 1.500 dollari per prendere il largo su battelli che a malapena galleggiano. Come dimostrano le migliaia di vittime inghiottite dal Mediterraneo negli ultimi anni. E sempre più spesso non basta neppure pagare: anziché essere imbarcati, i profughi vengono venduti agli schiavisti nel sud della Libia, al confine con il Niger o il Chad, dove sono tenuti in ostaggio fino a quando i familiari non riescono a versare il riscatto. Altre migliaia di dollari. Il ‘mercato’ organizzato dai predoni nel Sinai ha fatto scuola: ora lo stesso sistema viene adottato anche da trafficanti libici. Il caso di Misurata è emblematico: quei 240 disperati non sanno nemmeno nelle mani di chi sono finiti, chi ne ha deciso il prelievo da Ajdabiya, se sono stati trasferiti da militari fedeli al governo o da miliziani fuori controllo e se sono stati ceduti a qualche gruppo mafioso. Ormai è un circolo vizioso: lo stiamo denunciando da anni. Il 2013 che sta per chiudersi è stato terribile per i migranti e il nuovo anno non promette bene. Anzi, va sempre peggio perché i ‘potenti della terra’ non stanno facendo neanche il minimo per prevenire questo orrore e per salvare queste persone da sofferenze indicibili”.

Va peggio di anno in anno…”, denuncia don Zerai. Lo conferma l’allarme che, sempre il giorno di Natale, è arrivato dal Sud Sudan, sconvolto dalle stragi della guerra civile. Circa 500 eritrei – oltre 420 uomini, una cinquantina di donne tra cui 7 in stato di gravidanza, e 25 bambini – hanno trovato riparo in un campo improvvisato dal Commissariato Onu per i rifugiati a Bor, il capoluogo dello stato petrolifero di Jongley, conquistato dai ribelli del vicepresidente Riek Machar e distante 200 chilometri da Juba, la capitale, rimasta in mano al presidente Salva Kiir. Si tratta di un campo enorme, vicino al Nilo: ospita oltre 14 mila sfollati ma, essendo un complesso d’emergenza, manca anche di strutture essenziali: tende e alloggi sufficienti per tutti, servizi igienici e medici, una protezione adeguata. Peggio, scarseggiano persino il cibo e l’acqua mentre, favoriti dal sovraffollamento, sono esplosi grossi problemi sanitari: i malati aumentano e c’è il rischio di contagio.

Tutti gli Stati si sono preoccupati di evacuare i propri cittadini presenti nel Sud Sudan – protesta don Zerai – Gli unici ad essere abbandonati a se stessi sono gli eritrei. Le loro case e i loro negozi sono stati saccheggiati e distrutti. Costretti a scappare, adesso si trovano presi in mezzo a una guerra feroce per il controllo del petrolio, che rischia di sfociare in massacri etnici ancora più sanguinosi di quelli registrati finora. Eppure non una parola si è sentita da parte del regime di Asmara. Per trovare scampo questi 500 sfollati chiedono di essere trasferiti in Uganda, uno dei paesi più vicini al centro allestito dall’Onu a Bor. La speranza è che il Commissariato per i rifugiati riesca ad evacuarli organizzando un corridoio umanitario, d’intesa con la comunità internazionale. Quanto all’ennesima emergenza esplosa in Libia, con i 240 profughi bloccati dai miliziani a Misurata, prima ancora dell’Onu e di altre organizzazioni internazionali, dovrebbe muoversi il Governo italiano. L’Italia ha un accordo con Tripoli in materia di emigrazione. Proprio in base a questo trattato, allora, chieda di far luce sulla deportazione dal campo di Ajdabiya. Chieda che i prigionieri siano rintracciati e sistemati in un luogo sicuro, accessibile alle istituzioni umanitarie. Chieda che vengano inseriti in un sistema di protezione e di insediamento nei paesi disposti ad ospitarli o comunque ad offrire un’assistenza internazionale. E chieda, pretenda finalmente da Tripoli il rispetto dei diritti umani per tutti i profughi e i migranti arrivati in Libia”.

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