Nel lager di Lampedusa essere infami è il “protocollo”
© Stefano Liberti
Perfino i media mainstream oggi evocano i lager per definire il trattamento inflitto ai profughi segregati a Lampedusa. In effetti, le immagini del servizio di Valerio Cataldi per il Tg2 ricordano – anche nell’estetica, se così si può dire — le code degli internati nei campi di concentramento: la totale spersonalizzazione, l’umiliazione della nudità, l’esposizione al freddo, perfino la presenza di un omone che dirige l’operazione con la brutalità di un kapò… Eppure, sin da quando, nel 1998, usammo l’analogia dei lager per definire i Cpt da ogni parte si obiettò – fino a ieri– che l’analogia era impropria, iperbolica, infondata.
Oggi, dopo quindici anni di morti misteriose, suicidi, rivolte, maltrattamenti, brutalità, violazione dei diritti umani più elementari, qualcuno ammette ciò che abbiamo sempre sostenuto: pur con la differenza di finalità — la detenzione e l’internamento amministrativi — le strutture inaugurate dalla legge Turco-Napolitano con il nome di Cpt, sotto le loro numerose fattispecie, hanno lo status proprio dei lager nazisti. Eccezionalmente e permanentemente, essi, infatti, sospendono, per speciali categorie di persone, i diritti umani e i principi generali del diritto e della Costituzione.
Quello di Lampedusa, certo, non è ufficialmente un Cie: ne è «solo» una delle tante metamorfosi sotto nome ingannevole. Ancor più deprecabile perché vi sono internate persone perlopiù in attesa di asilo o comunque di protezione, in ogni caso tutte sopravvissute a persecuzioni, traumi, sofferenze e al rischio mortale della traversata del Mediterraneo.
Persone, quindi, meritevoli del massimo rispetto. E invece no: per lo stato italiano e per Lampedusa Accoglienza, l’ente gestore del Cpta, è normale che esse siano trattate al pari di molesti accattoni, private del comfort più basilare, costrette a dormire e a mangiare per terra.
Eppure l’ente gestore – riconducibile a Sisifo, consorzio aderente alla Lega delle Cooperative – nel solo 2012 ha incassato dallo stato italiano la bellezza di 3 milioni 116mila euro e tuttora continua a incassare somme calcolabili intorno ai 21mila euro al giorno, come ha documentato, tra gli altri, Fabrizio Gatti.
Un business non da poco, che rende ancor più bieca questa vicenda vergognosa, il cui senso è restituito alla perfezione dalla replica dell’ente gestore: «Abbiamo seguito il protocollo», frase che inconsapevolmente racchiude ciò che Hannah Arendt definì la banalità del male.
Al contrario di ciò che ha affermato la ministra Cécile Kyenge, noi pensiamo che purtroppo quelle immagini siano degne di rappresentare l’Italia: nel senso che sono perfettamente coerenti con l’ideologia che ha ispirato la sua politica nei confronti dei migranti e dei rifugiati.
Certo quel video, possibile solo grazie alle immagini catturate da Kahlid, giovane siriano internato nel Cpta, ha ottenuto qualche effetto di rilievo: l’apertura di un fascicolo da parte della procura della Repubblica di Agrigento, le minacce della commissaria europea Malmstrom di sospendere ogni aiuto all’Italia, alcune dichiarazioni indignate di rappresentanti delle istituzioni, la decisione, da parte di Sisifo, «di rimuovere e rinnovare il management attuale».
Ma anche questa vicenda indegna potrebbe essere presto dimenticata, non appena si saranno spenti i riflettori dei media. Così come ormai archiviati sono la commozione e il «mai più» seguiti all’ecatombe di ottobre nel Canale di Sicilia: 648 vittime in appena otto giorni.
Perciò speriamo che si moltiplichino le iniziative da parte della società civile antirazzista a sostegno del Comune di Lampedusa, della sua popolazione, soprattutto dei profughi segregati nel lager. E che si riesca a garantire la protezione da ritorsioni a quelli fra loro che dall’interno ne denunciano le infamie, mostrando così ben più coraggio civile di tanti cittadini e politici italiani.
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