24. November 2016 · Kommentare deaktiviert für ‚Com’è profondo il mare‘, webserie verticale: come ristabilire un criterio di verità attraverso il video · Kategorien: Mittelmeer, Video

Quelle: La Repubblica | 22.11.2016

L’iniziativa di Repubblica: esperimenti per aiutarci a comprendere, a ricordare, a sedimentare. Ci obbligano a pensare. E non solo a reagire a caldo. La sfida è semplice: raccontare utilizzando gli smartphone, demistificare con la stessa piattaforma sulla quale vola la disinformazione digitale

di Massimo Russo

Primo episodio – Il dramma
Secondo episodio – Il naufragio
Terzo episodio – Cibo per pesci
Quarto episodio – Rifiuti umani

La visione è in soggettiva, la barca affonda, la camera finisce sott’acqua. Le richieste disperate di aiuto, nel mare in burrasca, le conversazioni intercettate tra gli scafisti che si accordano su come negare la tragedia ai familiari, i corpi nel relitto e sulla spiaggia.

Nell’epoca della post-verità (copyright Christian Salmon), „Com’è profondo il mare“, la webserie in cinque puntate per gli smartphone che da lunedì sarà online in esclusiva su Repubblica.it, risponde a un bisogno: ristabilire un criterio di realtà, farlo attraverso il video – il linguaggio del nostro tempo – e con gli occhi di chi di solito non ha voce.

Il 2016 è stato l’anno in cui la maggioranza dei cittadini, impaurita e isolata, ha premiato la politica che ha divorziato dai fatti. Chiusi nella camera dell’eco – il sistema di amicizie che sui social network ci segnala solo le notifiche di chi la pensa come noi – riceviamo conferme ai nostri giudizi, e la ripetizione delle bugie le rende prima rassicuranti, poi vere per definizione. C’è più che mai necessità di cronaca, critica, verifica. Se ne sono resi conto anche Google e Facebook, che – assumendosi una responsabilità assai maggiore di quella che competerebbe a semplici piattaforme – hanno deciso di intervenire per isolare almeno le falsità più evidenti.

La tecnologia, i telefonini, la viralità non hanno creato tutto questo, ma l’hanno accelerato. Riverberando i veleni ne hanno ampliato la tossicità, rendendo più rapide le reazioni hanno tolto spazio alla riflessione. E le parole da sole non sono più un antidoto efficace. Ormai il codice dominante è il video – in differita o in diretta – strumento straordinario con il quale quasi due miliardi di persone condividono ogni giorno racconti, emozioni, avvenimenti. Ma da tutto ciò manca il contesto. E senza un prima e un dopo anche le immagini rischiamo di tradire la realtà. Pensiamo di sapere e invece vediamo solo frammenti, tessere di un mosaico che senza la giusta distanza e una visione complessiva non permettono di ricostruire un quadro di insieme, le relazioni temporali, i nessi causali. Vediamo ma non capiamo. Isolati e impauriti, reagiamo trasformando la stanza intelligente che è internet in una pentola a pressione di odio.

Webserie come questa sono esperimenti per aiutarci a comprendere, a ricordare, a sedimentare. Ci obbligano a pensare. E non solo a reagire a caldo, come è accaduto a Gorino. La sfida è semplice: raccontare utilizzando gli smartphone, demistificare con la stessa piattaforma sulla quale vola la disinformazione digitale. Con il medesimo linguaggio, quello di WhatsApp, delle Instagram stories o di Facebook Live. Andare in profondità, stavolta letteralmente 370 metri sotto il pelo dell’acqua, per capire perché è necessario recuperare il barcone con centinaia di corpi nella stiva. 42° Parallelo ha selezionato centinaia di minuti di immagini girate dai migranti con i loro telefonini per portarci dove non siamo mai stati, a bordo delle carrette che di solito vediamo solo all’arrivo, stavolta durante la traversata. Non c’è audio se non quello d’ambiente, niente voci se non le chiamate di soccorso alla guardia costiera con le richieste di soccorso.

Se la mediazione tradizionale del giornalismo non funziona più, la selezione dei frammenti di realtà e la scelta degli occhi attraverso i quali raccontarla sono l’unico modo per ristabilire un legame, un tessuto connettivo che organizzi i fatti in un contesto. Alcune immagini sono uno shock. Ma si tratta della scarica di defribillatore necessaria per riprendersi, per ristabilire il senso di empatia che abbiamo smarrito. Per risvegliarci dal sonno della ragione e dell’emozione. E tornare a condividere la nostra umanità.

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