03. November 2016 · Kommentare deaktiviert für Libyen: Fatim Jawara ertrunken – WM Fußballerin Gambia · Kategorien: Italien, Libyen · Tags: ,

Quelle: La Repubblica

Migranti, portiera del Gambia muore annegata nel Mediterraneo

Si chiamava Fatim Jawara e aveva difeso la porta della nazionale under 17 ai mondiali di categoria in Azerbaijan del 2012. Dopo aver attraversato il deserto, ha atteso di imbarcarsi a Misurata. Il gommone è partito la notte del 27 ottobre. Il suo corpo era probabilmente tra i 97 cadaveri recuperati da una petroliera

di PAOLO GALLORI

fatim

Fatim Jawara

ROMA – La notte di giovedì 27 ottobre, una petroliera recupera al largo della Libia i corpi senza vita di 97 migranti e 29 superstiti del naufragio di un gommone diretto a Lampedusa. Sono i numeri, sempre più freddi a ogni aggiornamento, della catastrofe umanitaria a noi tanto vicina. Una settimana dopo, dalle gelide cifre spunta la storia di un numero uno. La storia di Fatim Jawara, 19 anni, portiera della nazionale di calcio del Gambia, data per annegata quella notte al largo della Libia. Tra quei 97 cadaveri, c’era probabilmente anche il suo.

A darne la notizia è la GFF, la federazione calcio del Gambia, dopo essere stata contattata dall’intermediario a cui Fatim Jawara aveva versato il denaro con cui pagare il suo viaggio attraverso il Sahara fino a Misurata, dove la ragazza aveva atteso il momento dell’imbarco. Fatim Jawara sognava una carriera nel calcio professionale e ben retribuito d’Europa. Dove sperava di sbarcare non da perfetta sconosciuta. Era fiduciosa che il suo passato, in particolare il ruolo di titolare nella nazionale femminile under 17, avesse lasciato traccia sui taccuini degli osservatori. Che i talent scout presenti ai Mondiali di categoria disputati nel 2012 in Azerbaijan, non si fossero fermati allo score impietoso che aveva caratterizzato il breve cammino della sua rappresentativa alla manifestazione: tre partite disputate, tre sconfitte, 2 gol segnati e 27 subiti contro Corea del Nord, Stati Uniti e Francia.

Ancora freddi numeri, da cui si può solo intuire come Fatim Jawara, nel corso di quei tre match giocati a Baku, avesse subito un autentico bombardamento. Numeri incapaci di andare oltre l’umiliante -25 della differenza reti e di raccontare tutte le volte che Fatim, allora appena 15enne, era riuscita a dire „no“ ai devastanti attacchi delle avversarie, a ribattere il pallone a pugni chiusi, ad alzarlo oltre la traversa, a tuffarsi fino ai limiti estremi di una porta sempre troppo larga per deviarlo in calcio d’angolo. In fondo, almeno per lei, portiera naturalmente desiderosa di mettersi in mostra agli occhi di chi di calcio sapeva, era stato il Mondiale perfetto.

Era settembre, in Azerbaijan. Cinque mesi prima, la velocista somala Samia Yusuf Omar era annegata al largo di Lampedusa nel tentativo di raggiungere l’Europa e partecipare alle Olimpiadi di Londra. Forse Fatim Jawara ignorava la sua storia. O forse non ha mai voluto pensarci, dal momento in cui si era concentrata sulla sua nuova tappa di avvicinamento a un calcio migliore e a un mondo migliore. Tappa durissima ma obbligata, se vista dalla sua prospettiva: la Libia. Dove nessun talent scout la attendeva, né un allenatore a cui obbedire. A Misurata gli ordini li davano i trafficanti di uomini. E non c’erano palloni da raccogliere, ma segnali da cogliere.

La notte di giovedì 27 ottobre Fatim Jawara credeva ancora di poter governare il suo destino, come un pallone domato dalle sue mani guantate. Aveva trovato posto su un gommone e si accingeva a sostituire la realtà alla fantasia che aveva regnato nei suoi pensieri durante i lunghi giorni dell’attesa a Misurata. Cosa è accaduto quella notte, galleggia ormai solo nel ricordo dei sopravvissuti. Partito col favore del meteo, il gommone si ritrova in mezzo alla tempesta scatenata da un repentino mutamento delle condizioni del mare e del cielo. Si ribalta. Il destino scivola via come un pallone inaspettatamente viscido, l’ultimo tuffo di Fatim è nel buio.

La sua è una morte presunta. Potrebbe essere sepolta in Libia, dove la petroliera intervenuta quella notte aveva riportato superstiti e cadaveri. Tre giorni dopo, il 30 ottobre, la nota dolente diffusa dal presidente della federazione calcio del Gambia, Lamin Kaba Bajo: „Ho ricevuto oggi la notizia. E‘ un vero shock. La ragazza aveva talento. Ricordiamo bene quando alcuni mesi fa aveva parato un rigore alle scozzesi (novembre 2015, contro il Glasgow Girls FC, ndr) durante un’amichevole della nostra nazionale. Fatim era sulla via che porta a pascoli ben più verdi. Ma il modo in cui è morta è semplicemente scioccante e pietoso. Noi della Gambian Football Federation ne siamo davvero rattristati e a nome della federazione esprimo le condoglianze alla famiglia e al club in cui Fatim giocava il nostro campionato, i Red Scorpions“.

Fino al giorno in cui Fatim Jawara aveva deciso di mettersi in cammino per la Libia, a prendersi cura della calciatrice era stata Choro Mbenga, allenatrice dei Red Scorpions e selezionatrice aggiunta delle nazionali giovanili del Gambia. Che oggi la ricorda usando un aggettivo, „coraggiosa“, che rende al meglio la storia di Fatim ben oltre i limiti gessati di un campo di calcio. „Era coraggiosa. E coraggiosamente sempre dalla parte delle sue compagne. Una portiera di grande qualità. Ci mancherà davvero“.

Tra i migranti sbarcati in Italia, i gambiani occupano la quarta posizione in termini numerici. Secondo un rapporto Onu sullo sviluppo umano diffuso nel 2013, vive in povertà il 60% della popolazione del Gambia, 1,8 milioni di persone. Un terzo dispone
di un dollaro e venticinque centesimi al giorno per vivere. La scorsa settimana, il ministro per l’Informazione del Gambia, Sheriff Bojang, ha motivato la decisione del suo Paese di non riconoscere più l’autorità della Corte Penale Internazionale con „il mancato perseguimento con l’accusa di genocidio dei dirigenti dei Paesi europei che hanno fallito nella protezione dei tantissimi giovani migranti africani morti nelle loro acque e sulle loro spiagge“.

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