04. Dezember 2014 · Kommentare deaktiviert für Fahndungsanlass: Suche nach Angehörigen u. Zeitungsreportage · Kategorien: Italien, Libyen · Tags: , , , , ,

Ein Artikel der Zeitung Avvenire vom 30.09.2014 soll den polizeilichen Anlass zu Fahndung und Festnahme von 11 eritreischen Fluchthelfern geboten haben. Angehörige vermisster Boat-people hatten eigenhändig recherchiert und waren mit einem Journalist der Zeitung Avvenire in Kontakt gekommen, der die Angaben veröffentlicht hat.

Avvenire.it

Barcone scomparso, l’ombra dei terroristi

Paolo Lambruschi

30 settembre 2014 – Nuovo mistero nelle acque libiche. Da più di 90 giorni non si hanno notizie di 244 profughi eritrei e sudanesi imbarcati dai trafficanti in Libia su un barcone diretto in Italia. Sulla vicenda si allungano ombre inquietanti che arrivano al Sudan e al Sinai. Ed emergono nuovi particolari sul racket del traffico di esseri umani.

La disperata denuncia viene da sette eritrei, famigliari degli scomparsi che vivono in Italia da anni, rifugiati in possesso di regolare permesso. Si sono rivolti prima a don Mosè Zerai e ad Alganesh Fessaha, i due angeli custodi dei profughi eritrei diretti in Europa.Ora chiedono di sapere dove sono i loro cari, in molti casi padri e madri di famiglia. Non vogliono credere che siano nell’elenco dei 22 mila morti nel Mediterraneo dal 2000 ad oggi stimati dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni nel rapporto «Viaggi fatali». Nel 2014 sarebbero già 3.072 le vittime.Nel quartiere multietnico milanese a fianco di corso Buenos Aires incontro Berhane, che sulla barca diretta verso la Sicilia aveva una sorella, uno zio e una cugina, tutti sui 30 anni. Il rifugiato da un’agenda estrae uno schema a piramide con cinque nomi e numeri di cellulare con prefissi libici e sudanesi.

«Sono i vertici della banda – spiega – che gestisce il traffico di esseri umani dal Sudan alla Libia». Andiamo con ordine. «I miei parenti – spiega – erano fuggiti da Juba, la capitale del Sud Sudan dove avevano aperto un negozio, a Khartoum e hanno deciso di raggiungermi in Italia. Hanno contattato uno dei capi trafficanti della capitale sudanese, tale Abdallah. Costui ha un fratello a Tripoli, Ibrahim, numero due dell’organizzazione. Il boss si chiama Naser, un libico ricco e potente che vive a Tripoli e possiede le barche con le quali organizza i viaggi». I suoi parenti come li hanno contattati?

«Attaverso il tam tam degli africani diretti in Libia dal Sudan. I miei famigliari hanno pagato ad Abdallah 1600 dollari a testa per il viaggio in pick up nel deserto fino alla capitale libica in maggio. Quindi a Tripoli sono stato consegnati a Ibrahim, cui hanno versato altri 1600 dollari ciascuno. Li hanno chiusi in un magazzino gestito da un giovane eritreo, Measho. Per quasi un mese ho sentito mia sorella cinque volte al giorno. Il 24 giugno mi ha comunicato che il giorno dopo Measho aveva trovato una barca sulla quale sarebbero salite 244 persone, 197 eritrei, 46 sudanesi e uno scafista tunisino. Ma il 25 una retata della polizia, che poi li ha rilasciati, ha fatto rimandare il viaggio al 27. La sera del 26 alle 23,30 ho sentito per l’ultima volta mia sorella che mi confermava la partenza l’indomani. Poi il silenzio». E i trafficanti che spiegazioni hanno fornito?

«Measho ha detto che erano partiti. Poi ha spento il cellulare. Dopo tre giorni di angoscia sono riuscito a parlare con Ibrahim. Mi ha detto che sulla barca avevano caricato hashish e che la polizia italiana li aveva arrestati. Ma non risulta. Ho recuperato i nomi di altri due membri della banda. Uno, Jemal, è eritreo e mi ha detto che la nave è affondata vicino alla costa perché era malridotta. Parte delle persone erano morte e i superstiti venduti a un’altra gang. Quando gli ho fatto notare che i corpi non erano mai stati recuperati ha smesso di rispondere alle mie chiamate».

I particolari inquietanti sono diversi. Jemal e Measho hanno lavorato a lungo per le bande di trafficanti nomadi Rashaida, responsabili dei sequestri di eritrei finiti nel Sinai. Jemal, in particolare, è stato dal 2009 al 2013 nel deserto della Bibbia dove ha lavorato con le gang beduine vicine ai jihadisti, quelle che espiantavano gli organi a chi non poteva pagare il riscatto. Perché si è spostato in Libia? Measho nel frattempo è fuggito in Germania dove vive il fratello minore. Sbarcato in Italia il 18 settembre, il 19 aveva già varcato i confini beffando i famigliari che lo avevano intercettato. Chissà se si riuscirà a chiedergli conto della sorte di 244 uomini e donne scomparsi in Libia all’inizio dell’estate.

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