03. November 2016 · Kommentare deaktiviert für „Migranti, ‘pestaggi negli hotspot ed espulsioni illegali’. Questa è l’accoglienza dell’Italia“ · Kategorien: Italien · Tags: , ,

Quelle: Il Fatto Quotidiano

“Mi hanno dato scosse con il manganello elettrico, diverse volte sulla gamba sinistra, poi sulla gamba destra, sul torace e sulla pancia. Ero troppo debole, non riuscivo a fare resistenza e a un certo punto mi hanno preso entrambe le mani e le hanno messe nella macchina [per registrare le impronte digitali]”. Questa è la testimonianza di un ragazzo di 16 anni originario della regione sudanese del Darfur.

Quella che segue invece, è di un uomo di 27 anni: a Catania gli agenti di polizia l’hanno picchiato e sottoposto a scariche elettriche, poi lo hanno fatto spogliare e lo hanno colpito con una pinza dotata di tre estremità: “Ero su una sedia di alluminio, con un’apertura sulla seduta. Mi hanno bloccato spalle e gambe, poi mi hanno preso i testicoli con la pinza e hanno tirato per due volte. Non riesco a dire quanto è stato doloroso”.

Sulla base di questa e di altre 170 testimonianze di migranti e rifugiati raccolte nel corso di quattro distinte ricerche condotte quest’anno nel nostro paese, Amnesty International oggi ha pubblicato un rapporto nel quale denuncia come le pressioni dell’Unione europea affinché l’Italia usi la “mano dura” nei confronti dei rifugiati e dei migranti abbiano dato luogo a espulsioni illegali e a maltrattamenti che, in alcuni casi, possono equivalere a vere e proprie torture.

Il cosiddetto “approccio hotspot”, introdotto nel 2015 su raccomandazione della Commissione europea, prevede che l’Italia prenda le impronte digitali a tutti i nuovi arrivati. Per soddisfare la richiesta della Commissione, l’Italia ha adottato misure coercitive, soprattutto nei confronti di chi volendo chiedere asilo in altri paesi – magari perché lì ha già legami familiari – cerca di non prendere le impronte digitali dalle autorità italiane, per non rischiare di essere rimandato in Italia ai sensi del cosiddetto sistema di Dublino.

Amnesty International ha ricevuto denunce di arresti arbitrari, intimidazioni e uso eccessivo della forza fisica per costringere uomini, donne e anche bambini appena arrivati a farsi prendere le impronte digitali. Su 24 testimonianze di maltrattamenti raccolte da Amnesty International, in 16 si parla di pestaggi.

Una donna di 25 anni proveniente dall’Eritrea ha riferito che un agente di polizia l’ha ripetutamente schiaffeggiata sul volto fino a quando non ha accettato di farsi prendere le impronte digitali. In alcuni casi, migranti e rifugiati hanno denunciato di essere stati colpiti con bastoni elettrici.

Intendiamoci: nella maggior parte dei casi il comportamento degli agenti di polizia è e resta professionale e la vasta maggioranza delle impronte digitali è stata presa senza incidenti. Ma la necessità di un riesame indipendente e complessivo delle prassi attualmente utilizzate, alla luce di queste ultime denunce, rimane intatta. Queste prassi, tra l’altro, affidano alle forze di polizia un ruolo che va oltre l’aspetto dell’ordine pubblico.

I nuovi arrivati in Italia devono essere esaminati tempestivamente al fine di separare i richiedenti asilo da coloro che sono considerati migranti irregolari. Ciò significa, peraltro, che persone spesso esauste e traumatizzate dal viaggio e senza accesso a informazioni adeguate o a consigli sulle procedure d’asilo, sono costrette a rispondere a domande che possono avere profonde implicazioni per il loro futuro.

Sulla base di interviste estremamente brevi, agenti di polizia che non hanno ricevuto una formazione adeguata sono chiamati a prendere a tutti gli effetti una decisione sui bisogni di protezione delle persone che hanno di fronte: anziché limitarsi a domandare se intendono chiedere asilo, devono chiedere ai nuovi arrivati di spiegare perché sono arrivati in Italia. E poiché lo status di rifugiato non è determinato dal motivo per cui una persona è arrivata in un paese ma dalla situazione cui andrebbe incontro in caso di rimpatrio, questo approccio è fondamentalmente difettoso.

Coloro che sono giudicati privi di un motivo per chiedere asilo ricevono un ordine di espulsione, incluso il rimpatrio forzato nel paese di origine, che può esporli a gravi violazioni dei diritti umani.

Sempre più incalzata dall’Unione europea, l’Italia sta cercando di aumentare il numero dei migranti rinviati nei paesi di origine, anche negoziando accordi di riammissione con paesi in cui vengono commesse sistematiche violazioni dei diritti umani. Uno di questi accordi è stato firmato nell’agosto 2016 tra le polizia di Italia e Sudan. Consente procedure d’identificazione sommarie che, in determinate circostanze, possono essere espletate persino in Sudan a espulsione avvenuta. Anche quando l’identificazione avviene in Italia, si tratta di una procedura talmente superficiale e così fortemente delegata alle autorità sudanesi da non poter determinare caso per caso se una persona sarà o meno a rischio di subire violazioni dei diritti umani al suo rientro in Sudan.

Il 24 agosto 2016, come denunciato all’epoca da ilfattoquotidiano.it, 40 cittadini sudanesi – tra cui persone provenienti dal Darfur – sono stati rinviati in aereo dall’Italia in Sudan. Da tempo Amnesty International chiede chiarimenti al ministro dell’Interno Angelino Alfano sulla gestione dell’approccio hotspot e sulle espulsioni ma finora non ha mai ricevuto risposta.

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siehe auch: Il Manifesto

Abusi e violenze, l’inferno degli hotspot italiani

Migranti. Scosse elettriche per identificare i migranti. La denuncia di Amnesty International

Matteo de Bellis *

Salih aveva solo 10 anni quando le milizie hanno attaccato il suo villaggio nella regione del Nord Darfur, in Sudan. «Era sera. Sparavano e davano fuoco alle nostre capanne. I miei genitori sono stati uccisi ma io sono riuscito a scappare». È arrivato da solo fino a Khartoum, dove è rimasto fino all’inizio di quest’anno, quando suo zio che vive nel Regno Unito gli ha mandato dei soldi per raggiungerlo.

Ha impiegato più di un mese per viaggiare attraverso il deserto in Libia e poi verso nord fino alla costa, dove ha pagato il viaggio attraverso il Mediterraneo su una barca sovraffollata. «La Croce rossa ci ha salvati e ci ha portati a terra» mi ha detto Salih, che ora ha 16 anni ed è ancora un bambino, quando l’ho incontrato a Ventimiglia, a luglio. Ma invece di essere aiutato a ricongiungersi con lo zio, si è ritrovato intrappolato ai confini dell’Europa. E invece di trovare sicurezza sulle coste europee, ha detto di essere stato picchiato dalla polizia italiana, appena poche ore dopo l’arrivo.

Dopo il suo salvataggio, Salih e altri nuovi arrivati sono stati portati in autobus al così detto «hotspot» di Taranto. L’approccio hotspot, introdotto nel 2015 su raccomandazione della Commissione europea, è un sistema creato per identificare tutti i nuovi arrivati, valutare velocemente i loro bisogni di protezione e incanalarli nelle procedure d’asilo oppure rinviarli nel loro paese d’origine. Il punto cruciale è che questo prevede che l’Italia identifichi e rilevi le impronte digitali di tutti i nuovi arrivati. Ma persone come Salih, che vogliono chiedere asilo in altri paesi europei dove sono i loro parenti, hanno un forte interesse a evitare che gli vengano prese le impronte digitali dalle autorità italiane. Farlo significherebbe poter essere rimandati in Italia – paese di primo ingresso – se tentassero di continuare il viaggio nell’Unione europea.
«Non volevamo che ci prendessero le impronte digitali ma quattro poliziotti ci hanno trascinati fuori dall’autobus e fino all’ufficio, dove hanno cominciato a picchiarmi» mi ha detto Salih. «Mi hanno colpito almeno quattro volte con un manganello e poi ho sentito una scossa elettrica sulla schiena. Sono collassato e ho iniziato a vomitare. Dopo 10 minuti sul pavimento ho accettato di dare le impronte digitali».

L’esperienza di Salih non è unica. Quest’estate ho incontrato due dozzine di rifugiati e migranti – uomini, donne e bambini – che mi hanno detto di essere stati picchiati, colpiti con le scosse dei manganelli elettrici o minacciati dalla polizia dopo aver rifiutato di farsi prendere le impronte digitali. Un ragazzo di 16 anni e un uomo di 27 hanno descritto come la polizia li abbia costretti a spogliarsi e abbia inflitto loro dolore ai genitali. Una donna di 25 anni mi ha detto che è stata trattenuta a Lampedusa per mesi e poi schiaffeggiata ripetutamente per spingerla a dare le impronte digitali.

Questi abusi, che in alcuni casi costituiscono tortura, sono un aberrante effetto collaterale della strategia di «condivisione dell’irresponsabilità» dell’Europa. Mentre la condotta della maggior parte della polizia rimane professionale e la grande maggioranza dei rilevamenti delle impronte digitali avviene senza incidenti, i risultati dettagliati nel nuovo rapporto di Amnesty International pubblicato oggi fanno sorgere gravi preoccupazioni circa il comportamento di alcuni agenti. Il rapporto mette in luce anche le carenze fondamentali delle politiche migratorie dell’Europa. Infatti, le impronte digitali dell’Europa sono ben visibili sulla scena del delitto. Nessuno ha riassunto questo aspetto più chiaramente di un interprete che lavorava in un hotspot, citato da un uomo di 22 anni che ho incontrato: «Mi spiegò che dovevamo dare le impronte digitali altrimenti l’Italia avrebbe ricevuto una multa. Mi dissero che c’erano altri agenti europei che controllavano se alle persone erano state rilevate le impronte digitali. E che quelli che si rifiutavano sarebbero stati picchiati dalla polizia italiana».

L’arrivo di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, in fuga da conflitti, violazioni dei diritti umani e povertà, grava fortemente sull’Italia, che guida gli sforzi per salvare le vite in mare. In assenza di canali sicuri e legali di accesso in Europa, rifugiati e migranti hanno viaggiato in maniera irregolare e con un alto rischio per le loro vite.

Nel tentativo di ridurre la pressione sull’Italia e sugli altri stati in prima linea, l’approccio hotspot era stato abbinato a un programma di ricollocazione dei richiedenti asilo in altri paesi dell’Unione europea. Tuttavia, la componente di solidarietà dell’approccio hotspot si è dimostrata ampiamente illusoria: a oggi, 1200 persone sono state ricollocate dall’Italia, a fronte delle 40.000 che erano state promesse, mentre quest’anno oltre 150.000 persone hanno raggiunto l’Italia via mare.

Sotto la pressione dell’Unione europea, l’Italia ha cercato di aumentare il numero di migranti rinviati nei loro paesi d’origine. Questo ha significato anche la negoziazione di accordi di riammissione con governi che hanno commesso terribili atrocità. In applicazione di uno di questi accordi, lo scorso agosto, 40 persone, identificate come sudanesi, sono state messe su un aereo dall’Italia verso Khartoum. Amnesty International ha parlato con due uomini del Darfur che erano su quel volo e hanno raccontato che le forze di sicurezza li hanno aspettati al loro arrivo a Khartoum per interrogarli.

L’approccio hotspot, progettato a Bruxelles e messo in atto in Italia, ha causato gravi violazioni dei diritti di persone disperate e vulnerabili. Le autorità italiane hanno la responsabilità diretta, i leader europei quella politica. Nel frattempo, orfani come Salih sono lasciati a cavarsela da soli. Dopo quattro giorni nell’hotspot di Taranto, Salih è stato portato alla stazione ferroviaria e lasciato lì. «Nessuno mi ha chiesto se volevo chiedere asilo o nient’altro» mi ha detto. «Voglio andare via dall’Italia. Voglio stare con mio zio e la sua famiglia, in Inghilterra».
* ricercatore di Amnesty International

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