30. November 2013 · Kommentare deaktiviert für Eubam / Frontex und italienischer Militäreinsatz „Mare Nostrum“ – Vasallo Paleologo · Kategorien: Hintergrund, Italien, Lesetipps, Libyen · Tags: , , , ,

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Mare Nostrum – Agenti libici sulle navi italiane

L’esternalizzazione dei controlli di frontiera. I rapporti con la Libia e la “cooperazione pratica” delle forze di polizia. L’Italia continua a violare il diritto internazionale dei rifugiati.

Prof. Fulvio Vassallo Paleologo

Secondo quanto comunicato dal ministero della difesa il 28 novembre 2013 “il Ministro Mauro e il suo omologo libico Al-Thinni hanno sottoscritto un accordo relativo all’impiego di mezzi aerei italiani a pilotaggio remoto in missioni a supporto delle autorità libiche per le attività di controllo del confine sud del Paese”.

L’accordo riguarda anche attività di addestramento di personale libico definito come “un’attività di formazione, che potrà essere effettuata in Italia o in territorio libico, che migliorando la sicurezza comune contribuirà alla pace e alla stabilità internazionale”. Secondo lo stesso comunicato della difesa, “riferendosi alle recenti tragedie nel Mediterraneo, il Ministro Mauro ha espresso la preoccupazione del Paese per la perdita di vite umane e per l’impatto destabilizzante causato dai flussi di immigrazione che attraversano la Libia e i suoi confini. Confini sicuri e stabili – ha sottolineato il Ministro Mauro – sono indispensabili per una corretta gestione dei flussi migratori e per proteggere i diritti fondamentali degli stessi migranti”.

Mare Nostrum

Inoltre “nell’ottica di uno sviluppo delle capacità nel settore della sorveglianza e della sicurezza marittima, nel corso del colloquio è emersa anche la possibilità di imbarcare ufficiali libici a bordo delle unità navali italiane impegnate nell’Operazione “Mare Nostrum”, nonché di avviare corsi di addestramento sull’impiego del V-RMTC (Virtual Maritime Traffic Centre)”. Neanche un cenno ai migranti potenziali richiedenti asilo detenuti e torturati in Libia. Per il ministro Mauro ed il suo governo, come per i libici, semplicemente, non esistono. Sempre in base a quanto si ricava dal comunicato della difesa “il Ministro Mauro ha poi ringraziato il suo omologo per il supporto garantito alla Missione militare Italiana in Libia (MIL), auspicando la firma di un SOFA (Status of Forces Agreement) che assicuri la necessaria tutela giuridica al personale italiano impiegato sul territorio libico”. Fino ad oggi infatti i militari italiani già presenti in Libia, ad eccezione di quelli a guardia della nostra ambasciata a Tripoli non possono andare in giro armati e dunque sono “scortati” nei loro movimenti esterni da contractors di agenzie private di sicurezza.

Dal 2004 ad oggi la collaborazione tra l’Unione Europea, la Libia, e gli stati che si affacciano nel Mediterraneo ha avuto alterne vicende, legate al cambio dei governi, nei paesi occidentali, ed alla parabola di Gheddafi, quindi alla guerra ed alla sua uccisione. Sono noti al tempo di Gheddafi i Protocolli operativi ed il “Protocollo aggiuntivo” stipulati nel dicembre del 2007 dai vertici dei ministeri dell’interno italiano e libico, intese che individuavano una catena di comando italo-libica, ed il successivo Trattato di amicizia del 2008, che recepiva integralmente quei Protocolli e ne permetteva la attuazione. In realtà quegli accordi furono attuati con modalità diverse, a seconda dei rapporti politici ed economici intercorrenti tra i due paesi. La guerra in Libia nel 2011 ne comportò la sospensione, ma non la cancellazione, ed infatti quelle stesse intese sono state richiamate da successivi accordi maturati al massimo livello tra le autorità italiane e quelle libiche, come quelli consacrati nel Processo verbale sottoscritto a Tripoli il 3 aprile 2012 dall’allora ministro dell’interno Cancellieri, ed il suo omologo libico. Tra le intese si prevedeva la formazione di agenti libici, per rendere più efficaci i controlli di polizia di frontiera, l’individuazione di documenti falsi o la guida di motovedette. Sempre in territorio libico si sarebbe dovuto creare un “centro di addestramento nautico” per migliorare l’utilizzazione delle motovedette donate dall’Italia a partire dal 2009. Il Processo verbale menziona poi i “centri di accoglienza” prevedendo che a Kufra, nei pressi del confine con il Sudan, si sarebbe dovuto costruire “un centro sanitario per il primo soccorso a favore degli immigrati illegali”. Per il ripristino di altri centri si sarebbe dovuto chiedere il sostegno della Commissione Europea, ed in vista del prossimo Consiglio Europeo del mese di dicembre non può escludersi che i finanziamenti richiesti per la attivazione di altri centri di detenzione arrivino, viste le dichiarazioni di molti governi europei per un maggiore coinvolgimento delle autorità libiche nelle attività di contrasto dell’immigrazione “illegale”.

Il Processo verbale firmato a Tripoli nel 2012 prevedeva anche il monitoraggio dei confini, un tema che è ritornato di attualità dopo l’incontro del Primo ministro Letta con il suo omologo libico, a Roma il 4 luglio scorso. La Libia si impegnava allora a “rafforzare le proprie frontiere marittime e terrestri”, l’Italia a fornire “mezzi tecnici” e “attrezzature”. Ed erano previste nuove iniziative per controllare il confine meridionale anche con l’utilizzo di radar e satelliti, adesso come è noto anche con l’invio di droni. Ed è nota una recente dichiarazione pubblica della Finmeccanica sulla fornitura di droni ad un paese africano che non si è neppure avuto il coraggio di menzionare: la Libia. Ma l’aspetto più preoccupante del processo verbale stilato a Tripoli concerneva il tema del controllo delle frontiere marittime. Le parti italiana e libica concordavano di “adoperarsi alla programmazione di attività in mare negli ambiti di rispettiva competenza nonché in acque internazionali, secondo quanto previsto dagli accordi bilaterali in materia e in conformità al diritto marittimo internazionale”, “per le attività di contrasto all’immigrazione illegale e durante la permanenza degli immigrati illegali nei centri di accoglienza” veniva ribadito “l’impegno al rispetto dei diritti dell’uomo, tutelati dagli Accordi e dalle Convenzioni internazionali vigenti”. Le stragi in mare che si sono verificate da allora ed i report delle principali agenzie umanitarie, come Human Rights Watch ed Amnesty International, ma soprattutto le testimonianze ormai diffuse sugli abusi e sugli stupri sistematici nei centri di detenzione libici rendono chiara oggi, a distanza di un anno e mezzo, il quadro complessivo nel quale si inserivano quelle intese. Se non si garantisce la tutela dei potenziali richiedenti asilo in Libia, come negli altri paesi di transito, e se non si creano le condizioni per salvaguardarne vita, integrità fisica e dignità, con particolare riferimento ai soggetti vulnerabili come donne e minori, qualsiasi accordo, o misura, che potrà assumere l’Unione Europea per la sorveglianza dei confini ed il contrasto dell’immigrazione irregolare, non potrà che ritorcersi immediatamente sulle vittime, sempre più lontane dalla possibilità di ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale, e costrette ad invocare i parenti per il pagamento di un riscatto, unica possibilità, fino ad ora, per sottrarsi alle violenze dei trafficanti. Dopo la fine della guerra in Libia i rapporti con quel paese sono rimasti segnati da un clima di grave incertezza perché le autorità centrali non hanno ancora il pieno controllo di tutto il territorio , nel quale non esiste ancora una unica autorità di polizia, né tantomeno si può parlare di ripristino di un qualsiasi stato di diritto in un paese che è ancora caratterizzato da detenzioni arbitrarie e da processi sommari ai danni di molti migranti ritenuti, a torto o a ragione, mercenari o simpatizzanti di Gheddafi.

I nuovi accordi stipulati dal ministro Mauro ed il suo omologo libico si inseriscono nel quadro degli interventi decisi dall’Unione Europea e dalle sue agenzie parallele di controllo delle frontiere esterne FRONTEX ed EUROSUR con la creazione delle missioni EUBAM Libia .Malgrado la situazione sul territorio libico, con particolare riferimento alle violenze subite dai migranti fosse nota da tempo, l’Unione Europea, con la decisione del Consiglio del 22 maggio 2013, piuttosto che aprire un canale umanitario, ha promosso ed avviato l’operazione EUBAM Libia, inviando alcune decine di “esperti” ed agenti di polizia con il compito di formare le forze di polizia libiche e successivamente di assistere le autorità libiche nei controlli di frontiera. Ma che cosa è questa missione di esperti e formatori dell’Unione Europea denominata EUBAM e finora sconosciuta al grande pubblico ? Di certo l’Italia vi partecipa attivamente, dall’inizio del successivo mese di giugno, su richiesta del premier libico Zeidan .

Secondo Euobserver (Euobserver.com) , EU ’mentors’ helping Libya stop unwanted migrants. Secondo la stessa fonte, “The operation, Eubam Libya, currently boils down to 40-or-so EU countries’ experts and EU officials”. Inoltre ,“It added that the EU border control agency, Frontex, is also planning „concrete … activities“ in Libya under Eubam’s flag. Non occorre davvero aggiungere altro, per comprendere come l’operazione EUBAM Libia servirà a spianare la strada per un intervento diretto dell’agenzia FRONTEX in quel paese, anche se la Libia, che non ha neppure aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951, non garantisce e non garantirà ancora per lungo tempo alcuna protezione ai potenziali richiedenti asilo. La missione ha avuto inizio ufficialmente alla fine di maggio, ed i suoi componenti hanno trovato alloggio e sede operativa provvisoria in quello stesso albergo, il Corinthia Hotel di Tripoli, nel quale poche settimane fa una milizia armata ha sequestrato e poi riconsegnato alla fine della giornata il primo ministro libico Zeidan. Il primo dicembre dovrebbe essere aperta a Tripoli la sede ufficiale dell’agenzia, che a regime dovrebbe contare su uno staff di 111 componenti oltre a 54 aiutanti locali e 54 bodyguards. Le attività esterne dei componenti della missione si svolgono dunque sotto scorta armata. Compito iniziale di questa ennesima agenzia/missione dell’Unione Europea sarà fornire „border management strategy“ alle autorità libiche nell’ottica dominante del contrasto della immigrazione ”illegale”. Trenta milioni di euro di spesa per un anno, la stessa somma annunciata da Barroso a Lampedusa dopo la strage del 3 ottobre, soldi dei quali si sono perse le tracce nei meandri della burocrazia europea. E’ bene ricordare ancora una volta che quell’immigrazione”illegale” è composta quasi per intero da potenziali richiedenti asilo che in Libia sono costretti a subire ogni tipo di privazioni e di abusi.

Secondo quanto riferito da BBC News del 13 ottobre 2013 si è persino sparato su alcune imbarcazioni cariche di migranti subito dopo la partenza dalle coste libiche, e queste imbarcazioni, dopo poche ore sono affondate,“migrants who survived when their boat capsized in the Mediterranean say they were were shot at as they left Libya. One survivor told the BBC that people on the boat were shot, and that bullet holes caused the boat to start sinking”. In questo caso si registrano poche decine di sopravvissuti, dopo l’intervento congiunto di mezzi militari italiani e maltesi, un intervento che ha alimentato gravi dubbi sulla tempistica del salvataggio e sulle modalità del coordinamento tra le autorità maltesi e quelle italiane. Trova intanto conferma, da testimonianze raccolte in tempi e luoghi diversi, quanto affermato da numerosi profughi giunti in Sicilia che riferivano di essere stati sottoposti ad un mitragliamento, subito dopo la partenza dalla costa libica, da parte di una imbarcazione non meglio identificata.

Qualche settimana dopo è filtrata un’altra scarna notizia che riguardava il coinvolgimento da unità militari libiche in attività di “contrasto dell’immigrazione illegale”, notizia che però veniva riportata solo sulla stampa libica. E’ stato infatti ritrovato un barcone che si era arenato sulla costa della Cirenaica, nei pressi della città di Derna, con tanti abiti di donne e bambini sparpagliati sulla battigia. Così il Libya Herald di Tripoli il 29 ottobre 2013: “clothing found near a wrecked fishing boat on a beach near Derna yesterday, is thought to have belonged to illegal immigrants. The vessel appeared to have run aground in the Lathroon district, to the west of Derna. Scattered on the beach was a large quantity of children and women’s clothes. It is not known what happened to those who were aboard. Poi la notizia, ripresa anche dall’ANSA il 31 ottobre 2013 che “guardiacoste libici”, avrebbero effettuato un salvataggio in acque internazionali, raggiungendo un natante guasto e riportando 150 migranti di diversa nazionalità a Zawia, 40 chilometri ad ovest di Tripoli, dove “sono stati consegnati alle autorità competenti”. Legittimo il dubbio che l’imbarcazione che ha effettuato questo salvataggio non fosse proprio alle dipendenze delle autorità libiche, termine alquanto incerto sia a terra che, assai probabilmente, nelle acque prospicienti la costa, dove non arrivano i mezzi della missione militare ed umanitaria italiana “Mare Nostrum”. E per questa operazione di blocco sono subito sono arrivati gli apprezzamenti da parte della missione EUBAM già operativa in Libia nella formazione di forze di polizia da impiegare nelle attività di contrasto dell’immigrazione (illegale) in Mediterraneo ed altrove ( è infatti previsto l’invio di numerosi agenti di collegamento libici nei principali paesi europei interessati dall’immigrazione irregolare dalla Libia). Come riferisce la stampa libica (www.libyaherald.com) “the Coastguard sent two 12-metre Rigid Hull Inflatable Boats (RHIBs) to rescue the migrants on Wednesday, after receiving an emergency call. The dinghy’s engine had failed, leaving the boat drifting in the Mediterranean Sea some 120 nautical miles off the Libyan coast. Women and children were transferred into one of the Libyan vessels and the dinghy, with the other migrants on board, was towed back to Libya. Seguono gli elogi dell’agenzia dell’Unione Europea EUBAM, “I would like to praise the actions of the Coastguard and the crews involved in this rescue,” said EUBAM Libya’s Naval Coastguard Trainer David Aquilina. “With limited capabilities, they showed courage and commitment, and risked their own lives, in carrying out this action.” Si deve osservare al riguardo che proprio in quel periodo membri della Guardia Costiera libica hanno partecipato ad un corso di formazione di tre settimane organizzato proprio dalla missione dell’Unione Europea EUBAM (EU Border Assistance Mission) Libya. Infatti, sempre secondo la stessa fonte, in quei giorni, “members of the Coastguard are currently taking part in an initial three-week training programme organised by EUBAM Libya. Una attività di formazione che dunque ha avuto una immediata ricaduta operative sulle operazioni di salvataggio e recupero dei migranti in fuga dalla Libia verso l’Europa. Ed i più recenti documenti in corso di elaborazione da parte del Consiglio dell’Unione Europea fanno riferimento proprio agli “esperti” inviati nei paesi di transito come snodi strategici per inserire le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare dell’Agenzia FRONTEX nell’ambito dei rapporti bilaterali tra i paesi membri ed i paesi terzi.

Il programma EUBAM ha anche un risvolto che riguarda direttamente l’Italia. Si prevede infatti l’addestramento di base di circa 500 militari libici che, dopo la fase iniziale, verranno inviati nel nostro paese per completare l’attività formativa. L’addestramento e la selezione del personale libico è condotto, in coordinamento con le autorità locali, da un team di quindici militari dell’Esercito Italiano. Il programma si inserisce nella Cooperazione bilaterale tra Italia e Libia nel settore della Difesa – regolata dal Memorandum of Understanding firmato a Roma il 28 maggio 2012 – e prevede l’addestramento di militari provenienti dalle tre regioni libiche: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Gli addestratori italiani sono integrati nella Missione Italiana in Libia (MIL), lanciata lo scorso primo ottobre quale evoluzione dell’Operazione “Cyrene”, con l’obiettivo di organizzare, condurre e coordinare le attività addestrative, di assistenza e consulenza nel settore della Difesa a favore del governo libico. Negli stessi giorni in cui molti giornalisti erano presenti a Lampedusa, dove erano annegati centinaia di migranti provenienti dalla Libia, nessun giornale italiano ha dato notizia di un impegno tanto importante delle autorità militari italiane in quel paese. La sinergia delle missioni FRONTEX ed EUBAM, in futuro, dovrebbe dare un contributo decisivo al ripristino dei controlli di frontiera in Libia, sia alle frontiere meridionali che sulle coste settentrionali, in modo anche da frenare l’afflusso di migranti, ormai quasi esclusivamente potenziali richiedenti asilo, in Europa. Ma intanto e probabilmente ancora per molto tempo, si tratterà di operazioni militari di puro contrasto non certo rivolte a fornire protezione umanitaria ai profughi in fuga dai loro paesi e costretti ad attraversare la Libia nel tentativo di raggiungere l’Europa. L’obiettivo di EUBAM Libya in realtà va dunque ben oltre la mera formazione teorica delle forze di polizia, ma sarà anche quello cooperare attivamente con la polizia di frontiera libica in modo da raggiungere e sorvegliare la immensa frontiera meridionale della Libia ancora da mettere in sicurezza. Piste attraverso le quali si svolge ogni tipo di traffico e sulle quali si snoda il percorso doloroso dei profughi in fuga da guerre e dittature. Un compito immane che sembra impossibile da assolvere ricorrendo solo ad esperti o a missioni militari, in assenza di forze di interposizione e di sicurezza e di un serio impegno politico della comunità internazionale. Rimane da comprendere se la messa in atto di questa “missione” comporterà una maggiore protezione per i profughi in transito. O li esporrà al rischio già sperimentato di subire respingimenti collettivi verso i paesi di origine dai quali sono fuggiti, o di subire lunghi periodi di detenzione in condizioni disumane o degradanti. Peter Bouckaert, rappresentante di Human Rights Watch (HRW), ha dichiarato che la missione dovrebbe entrare anche in zone nelle quali attualmente non entra neppure l’esercito ufficiale libico, dove spadroneggiano le milizie qaediste „a no-go area, even for Libyan security forces … it’s a closed military zone where you have extremists, such as al-Qaeda in the Islamic Maghreb, and criminal smuggling networks, who have looted stock from Libya’s arsenals and who have big financial interests“.

La nuova dimensione dei rapporti dell’Italia e dell’Unione Europea con la Libia potrebbe essere condizionata dai rapporti bilaterali esistenti tra quel paese e Malta. Il governo maltese, che ha già un solido accordo di riammissione con la Libia, solo temporaneamente sospeso a partire dal mese di luglio, ha recentemente proposto alla Task Force europea istituita dal Consiglio Europeo del 26 ottobre di aumentare le pressioni diplomatiche ed economiche sui paesi di transito e di origine in modo da potere ritrasferire in questi paesi i richiedenti asilo le cui domande di asilo dovessero venire respinte. Una percentuale molto elevata di coloro che arrivano sulle coste europee, variabile da paese a paese, ma sempre assai rilevante, anche considerando la circostanza che in Italia non si supera il 45 per cento delle domande accolte, e in altri paesi si scende a percentuali ad una sola cifra. Il primo ministro maltese si è dichiarato pronto a riattivare gli accordi di riammissione già esistenti con la Libia, anche se è noto che questi accordi colpirebbero non cittadini libici ma cittadini di paesi terzi, come somali ed eritrei, che potrebbero essere imprigionati, torturati o rimpatriati dopo la loro deportazione in Libia, come si è già verificato in molti casi di respingimenti collettivi effettuati (nel 2009 e nel 2010 anche dall’Italia) da parte delle autorità maltesi verso la Libia. Nelle posizioni comuni, adottate dalla Grecia, da Cipro, da Malta, dall’Italia e dalla Spagna, portate con scarso successo al Consiglio dell’Unione Europea che si è svolto a Bruxelles il 25 ed il 26 ottobre scorso, il transito di potenziali richiedenti asilo in Libia, diretti verso l’Europa, continua dunque ad essere considerato esclusivamente nell’ottica del contrasto dell’immigrazione “illegale”, al punto che la maggior parte dei paesi europei, secondo il primo ministro maltese, sarebbe d’accordo per proporre il tema della cd. immigrazione illegale, come tema dominante del prossimo Summit Euroafricano fissato per il mese di aprile del 2014.

Intanto la situazione dei richiedenti asilo nei paesi dell’Unione più vicini alle coste africane appare sempre più critica. Nell’estate del 2013, da ultimo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha imposto a Malta di sospendere due voli di respingimento verso la Libia di immigrati somali ed eritrei ai quali questo paese aveva negato accesso alla procedura o aveva respinto l’istanza di protezione. E sulla stessa vicenda un richiamo assai duro al governo maltese è stato rivolto dalla Commissaria Europea agli affari interni Cecilia Malmstrom che il 9 luglio 2013 ribadito il divieto di respingimenti collettivi verso la Libia. La Malmstrom ha poi dichiarato che l’Unione Europea “utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per assicurare che i Paesi membri rispettino le norme internazionali”, aggiungendo, “siamo anche pronti a incrementare il nostro sostegno a Malta», e a discutere di ulteriori misure a carattere finanziario o di assistenza da parte dell’Ufficio Europeo per l’asilo (Easo) e di Frontex (Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri)”. Ma dopo mesi non è ancora venuto un chiarimento definitivo sulle responsabilità relativa agli obblighi di salvataggio e sui criteri di ripartizione dei migranti salvati in acque internazionali, come è emerso anche dalle conclusioni interlocutorie del Consiglio dell’Unione Europea riunito a Bruxelles il 26 ottobre scorso. Ed in Italia, nonostante la dura condanna subita il 23 febbraio 2012 con la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul caso Hirsi, per i respingimenti verso la Libia effettuati nel corso del 2009, non mancano nel governo i fautori di una intensificazione dei rapporti con i paesi di transito, inclusa proprio la Libia, che non aderisce neppure alla Convenzione di Ginevra del 1951, anche quando è evidente la sorte che in questi paesi viene riservata ai potenziali richiedenti asilo, costretti a raggiungere “clandestinamente” le coste europee per la mancanza di canali legali di ingresso.

Adesso con la stipula delle nuove intese tra il ministro della difesa libico ed il ministro Mauro viene disvelato il vero senso della missione militare, sempre meno umanitaria, “Mare Nostrum” sulle cui navi oltre ai funzionari del ministero dell’interno già operativi potranno essere imbarcati agenti di polizia libici, con conseguenze devastanti per il destino dei naufraghi che saranno raccolti in mare, tutti ormai potenziali richiedenti asilo, che saranno sempre più esposti al rischio di identificazioni violente e di successivi respingimenti in Libia.

Accordi Italia-Libia 28 novembre 2013

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