02. August 2018 · Kommentare deaktiviert für Bosnien: Sognando l’Occidente · Kategorien: Albanien, Balkanroute, Bosnien, Kroatien · Tags: ,

6.700 Migrant*innen sind in den letzten sechs Monaten in Bosnien angekommen. Für sie ist es eine Zwischenetappe auf dem Weg nach Nordeuropa. Die weitaus meisten bleiben aber in Sarajewo hängen.

Il Manifesto | 02.08.2018

Federico Annibal

Negli ultimi anni il numero dei migranti che entrano in Grecia, passando attraverso la Turchia, si è drasticamente ridotto. L’accordo fra Ue e Turchia – marzo 2016 – ha sicuramente portato i suoi frutti: i confini esterni dell’Unione europea sono stati consolidati. Tuttavia, il flusso non si è completamente interrotto e stando alle cifre dell’Unhcr fino ad oggi più di 13.120 migranti sono entrati nello stato ellenico.

Migliaia di migranti provano a percorrere la cosiddetta «rotta balcanica» per raggiungere familiari o amici in Italia, Germania, Inghilterra e da lì richiedere asilo politico. Le vie legali per arrivare in Europa occidentale stanno diventando sempre più tortuose; l’illegalità, e tutto ciò che ne consegue, diviene così una necessità.

FINO A DUE ANNI FA chi voleva percorrere questa rotta, passava per la Macedonia o la Bulgaria, per approdare in Serbia, così continuare per l’Ungheria ed arrivare in Austria e poi in Germania. Tuttavia, da quando il governo ungherese di Orban ha rinsaldato i confini con filo spinato e violenza poliziesca, quella rotta si è interrotta, troppo pericolosa.

La voglia dei migranti di continuare il viaggio verso l’Europa occidentale, invece, è rimasta identica. Così, nuove strade sono state aperte. Da alcuni mesi la nuova rotta balcanica passa per l’Albania, il Montenegro, la Bosnia per poi cercare di attraversare la Croazia e la Slovenia ed arrivare a Trieste, in Austria o in Germania.

Una lunga rotta che abbiamo percorso da Giannina – a nord della Grecia – fino in Bosnia, dove in migliaia sono bloccati ai confini croati.

Infatti, i numeri del governo bosniaco certificano chiaramente un aumento dei migranti rispetto all’anno precedente: in tutto il 2017 gli arrivi erano stati circa 700, mentre nei primi 6 mesi del 2018 sono stati circa 6.500.

Giannina si trova a circa un’ora di macchina da Kakavia che segna il confine greco-albanese.

In questa città afghani, siriani, curdi, indiani del Kasmir, algerini, si riposano prima di camminare verso il confine. Sulle sponde del lago Pamvotida che bagna la più importante città greca del nord-ovest, decine di migranti sono accampati dentro una vecchia discoteca abbandonata: un tempo luogo di divertimenti sfrenati, oggi casa temporanea per chi cerca di raggiungere l’Albania. In mezzo a spazzatura, pezzi di soffitto in amianto collassati e fra i buchi del compensato che fungeva da pavimento, dormono una decina di Curdi. «Non è bello dormire in queste condizioni, fra spazzatura e ratti», dice K. un giovane ragazzo originario del Kurdistan irakeno. «Ma comunque non abbiamo alternative, dobbiamo continuare il viaggio verso l’Albania».

A KALPAKI, cittadina sulla strada che da Giannina arriva a Kakavia, la barista di un caffè racconta che ogni giorno vede camminare gruppi di migranti: «Vediamo anche bambini che camminano. Mi dispiace che siano costretti a compiere questo lungo viaggio».

Ripreso il cammino, si arriva al confine albanese dove un doganiere greco indica una collina accanto alla frontiera: «Vedi, da lì partono dei sentieri, che i migranti percorrono per arrivare illegalmente in Albania». In effetti, troviamo un sentiero che si inerpica su per la collina. Pannolini, lattine di coca cola, documenti dell’Unhcr, indicano chiaramente il passaggio di gente. Percorriamo il sentiero, fin quando, con il GPS ci accorgiamo di aver effettivamente superato il confine. Dopo pochi metri, vediamo un poliziotto albanese intento ad arrestare un migrante, a quel punto torniamo indietro ed attraversiamo legalmente la frontiera.

Lo stato albanese non vede di buon occhio l’aumento dei flussi migratori: in Albania chi è sprovvisto di status legale non può utilizzare i mezzi pubblici.

CHI VIENE trovato vicino al confine, viene rimandato in Grecia; chi invece avanza ben dentro lo stato albanese, viene portato, direttamente dalla polizia, nel centro per richiedenti asilo di Tirana, l’unico del paese. «Alcuni, quelli che hanno i soldi, pagano un tassista albanese al confine che, per una bella cifra, ti porta direttamente in questo centro» racconta L. un marocchino in viaggio dalla Turchia.

Le centinaia di persone che alloggiano al centro aspettano e si riposano prima di continuare a camminare verso il confine con il Montenegro: Hani i Hotit. Questa zona di confine dista pochi chilometri da Podgorica, capitale montenegrina, nella cui provincia, a 13 chilometridalla città, sorge Spuž dove è localizzato l’unico centro per migranti di tutto il Montenegro.

Prima di andare al centro andiamo a vedere com’è la situazione al confine con l’Albania, fra le località di Drume e Tuzi. «Le vedi quelle montagne? » – ci dice un montenegrino in un bar di Tuzi. «Da lì scendono durante la notte. L’altra sera un amico mio ha dato da mangiare ad un gruppo di migranti».
Vicino alla ferrovia che passa per il confine, ci sta un autolavaggio, Jovan lavora lì, e quasi ogni giorno vede passare qualcuno. «Seguono la ferrovia che dalla frontiera li porta nella capitale. Noi, quando ce lo chiedono, gli diamo l’acqua». Gli chiediamo che pensa, se sia giusto che la gente compia questo viaggio infernale. Ci risponde così: «Guarda la mia pelle. Mi commuovo. Non ho commenti. Non è giusto».

Al centro di Spuž molti ci arrivano in taxi. Fuori dal centro d’accoglienza ci sta un grande gruppo di pakistani che la notte prima aveva superato il confine. Si riposano sotto l’ombra di un albero, in attesa che vengano registrati e messi nella parte del centro per migranti aperta. Infatti, esiste una seconda ala che altro non è che un centro di detenzione. «Spesso la gente viene prima messa nel centro chiuso e poi in quello a porte aperte» – ci racconta un funzionario dell’Iom (International Organization of Migration). «Questo centro è stato costruito da poco con i soldi dell’Ue. Ti posso solo dire che le condizioni abitative dentro sono ottime» conclude il funzionario.

Non lontano dal centro, c’è un ufficio della Croce Rossa montenegrina. Parliamo con M. , uno dei membri del team che ci conferma come negli ultimi 5 mesi ci sia stato un aumento nel numero degli arrivi. «È stata aperta una nuova rotta di transito. Poi da qui continuano a nord verso Niksic, per superare il confine bosniaco vicino Trebigne, nella repubblica Srpska, in Bosnia Erzewgovina. Da lì continuano per Sarajevo, passando per Mostar» conclude.

A Trebigne la situazione è tranquilla. I locali difficilmente vedono migranti passare lì in strada, altrimenti sarebbero rispediti in Montenegro. Un ufficiale della dogana ci racconta che negli ultimi mesi il numero è sicuramente aumentato. «Ieri mattina ne abbiamo trovati 20 al confine e li abbiamo rimandati indietro in Montenegro. È difficile controllare il confine, abbiamo pochi uomini. Comunque continuano il viaggio per Sarajevo, e da lì vanno verso nord: Bihac e Valika Kladusa, al confine con la Croazia».

Nella strada per Sarajevo ci fermiamo al campo per migranti di Salakovac, a pochi chilometri da Mostar. «Qui la stragrande maggioranza viene da Sarajevo» ci racconta un ragazzo pachistano. Infatti, il 18 maggio la polizia bosniaca aveva spostato 270 migranti accampati nel centro capitale, senza servizi e supporto, in questo campo a sud della Bosnia. A Salakovac le condizioni sono normali, ci raccontano gli ospiti che oziano nel bar di fronte. «Certo, il cibo non è granché, e non abbiamo Wi-Fi, però ci adattiamo» spiega il giovane pakistano.

Nel bar di fronte al centro, incontriamo M. un curdo iracheno di 35 anni con la moglie ed altre 3 figlie. «Sono da un po’ bloccato qui. Non è facile viaggiare con tutta la famiglia ed una bambina di 8 anni al seguito». M. sta facendo questo viaggio grazie ad una rete di facilitatori che gli hanno promesso di raggiungere la Germania. «Quando arriveremo in Germania dovremmo pagare 5000 euro a testa, ma sono mesi che siamo in viaggio». La speranza di M. si sta affievolendo.

Ogni giorno a centinaia continuano a superare illegalmente i confini, a vivere in palazzi abbandonati, a non mangiare per giorni o camminare per kilometri attraverso foreste che non conoscono. Questo è il benvenuto che gli riserva l’Europa di oggi.

Quella della chiusura dei confini e del razzismo istituzionale.

 

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